Sono tempi duri per tutti. C’è una guerra in corso che più diventa distruttiva e cruenta più fa fatica a essere raccontata, come nelle prime settimane, in posizione di evidenza dai giornali e dalle TV.
C’è una crisi economica e sociale devastante, c’è nei giovani in particolare una condizione di incertezza e di sbandamento anche per effetto delle limitazioni imposte dalla pandemia.
Tutto questo per dire che abbiamo ben presente la gerarchia dei problemi di questo tempo e se ho deciso di raccontare senza timori reverenziali, solo con il rispetto che si deve alle persone specie nella loro sfera privata, i primi 10 anni della Fondazione è perché la sua nascita e l’acquisto di Villa Rendano e il suo recupero per i patrimonio architettonico di Cosenza, premessa per farne un centro culturale e di riferimento per i cittadini, in veste di protagonisti e non di spettatori sembrano essere ridotti al rango di una operazione di piccolo cabotaggio.
Certo non giova oggi all’immagine e alla capacità attrattiva di Villa Rendano l’operazione di vera e propria pirateria compiuta dal CdA da me composto ritenendo scontata la lealtà e il rapporto di antica amicizia con i suoi membri. Se ne occuperà a gennaio il Tribunale di Roma e per quanto mi riguarda il discorso finisce qui.
Ciò che a me pare importante è che Sergio Giuliani, che aveva provato con interlocutori sbagliati ed esosi a dare vita ad una Fondazione che ricordasse i nomi dei genitori cui era profondamente legato, si decise a riprovarci quando gli assicurai che la costituzione di una Fondazione non costava, come gli avevano fatto credere decine di migliaia di euro ma al massimo € 4000,00 o 5000,00 per spese notarili.
Scrissi il primo Statuto e per l’atto del notaio Giuliani pagò € 3.500,00.
Ma il fondatore voleva che la neocostituita Fondazione fosse un “dono” alla città – il Sindaco Occhiuto molto tempo dopo con un inedito malanimo nei miei confronti manifestò una specie di rimprovero perché il dono non era diventato una “donazione”, una cessione di proprietà fatta con atto pubblico.
Non replicai al suo whatsapp allora ma lo faccio ora, sottolineando che anche per il modo in cui Giuliani fu convinto dal sen. Occhiuto all’acquisto non previsto, la donazione non era proprio prevista come opzione, e che comunque se pure essa fosse stata fatta il default del Comune sarebbe stato anticipato di qualche anno, giacché il solo costo della gestione della Villa, priva di ogni attività, costava fino allo scorso anno € 160.000,00, costerà circa € 200.000,00 per l’incremento delle tariffe elettriche e del gas.
Spero che Occhiuto che bizzarramente siede nel nuovo CdA ne tenga conto soprattutto tenendo viva la sua memoria e a freno la sua fantasia.
Dunque Giuliani su invito, peraltro in sé meritorio, di Occhiuto dimenticò che l’obiettivo della Fondazione doveva limitarsi al finanziamento di opere pubbliche non sostenibile dal Comune, nonostante le mie perplessità che ne tempo si sono rivelate fondate, dichiarò la sua disponibilità all’acquisto.
Il Sindaco Occhiuto, replicando alle mie perplessità circa l’assenza di un progetto che desse senso alla Villa, snocciolò confusamente il nome del Parco Tecnologico di Trieste come partner progettuale.
In realtà come potei facilmente scoprire cogliendo alcune parole del Ministro dell’Ambiente Clini nel foyer del Teatro Rendano il Parco aveva firmato con la Regione un accordo molto vantaggioso (per il Parco) per supportare la neocostituita CalabriaInnova, presieduta dall’onnipresente Umberto de Rose, chiusa senza grandi risultati 5 anni dopo.
Fu un errore in buona fede far credere che risolto il problema “contenitore” lo fosse anche quello del “contenuto” grazie al Parco Tecnologico o un’informazione, diciamo, avventata?
Il decennio di Villa Rendano segnato da molte bugie e altrettanti bluff, interni ed esterni alla Fondazione lascia propendere per la seconda risposta.