Vi prego di ricordare questo nome, Wladimiro Parise, netturbino, meglio operatore ecologico, a Montalto Uffugo.
A lui il Repubblica ha dedicato un’intera pagina perché Wladimiro è parte di una specie in estinzione, in realtà già estinta.
Wladimiro, infatti, in quanto Segretario della Sezione PD di Casali del Manco, ha il privilegio di rappresentare nel Sud, insieme con altri due lavoratori, la classe operaia.
Se ci spostassimo più a nord non credo troveremmo una situazione molto diversa; alla maniera della DC. che del PD è la componente più rappresentata in posizioni di vertice, il partito si può definire “interclassista”. Che in questo pluralismo delle condizioni sociali avvocati, funzionari pubblici, manager e professionisti di lungo corso della politica la facciano da padroni è dato per scontato. Se si prende un campione, ad esempio, di 10 militanti con i tre residui della classe operaia qualche zelante ricercatore potrà dire che il 30% di lavoratori manuali non è poi così male.
Scontata la citazione integrale della poesia di Trilussa, la Statistica.
Sai ched’è la statistica? È ’na cosa
che serve pe’ fa’ un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che sposa.
Ma pe’ me la statistica curiosa
è dove c’entra la percentuale,
pe’ via che, lì, la media è sempre eguale
puro co’ la persona bisognosa.
Me spiego: da li conti che se fanno
secondo le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra ne le spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perché c’è un antro che ne magna due.
Passando dalla poesia alla realtà l’emarginazione della classe operaia dai quadri di partito, il PD in particolare ma non solo, conferma un fenomeno che soprattutto negli ultimi anni caratterizzati dall’elogio sperticato del liberismo – “il mercato si regola da solo e non ha bisogno di lacci e lacciuoli” – s’è allargato a tutta la platea della forza lavoro.
Dal socialista Brodolini, padre dello Statuto dei lavoratori, all’ex segretario democristiano prestato al Partito Democratico Renzi, genitore degenere della riduzione drastica delle tutele essenziali dei rapporti di lavoro, la considerazione del valore del lavoro come componente strategica dell’economia e della produzione è scesa a livelli di prefisso telefonico.
Lo si è fatto prima con le qualifiche più basse, poi l’asticella si è alzata sino a comprendere anche le cosiddette risorse umane pregiate, sacrificabili all’occorrenza come tutti, non considerando che questo depauperamento fa danni sociali, crea un clima di perenne insicurezza, incide negativamente sulla produttività del sistema produttivo.
Nel Sud, in Calabria in particolare, fragile di suo, con inconfessabili alleanze tra imprenditori e poteri occulti che condizionano tutto e tutti, con un familismo esasperato e un clientelismo pure se indebolito dalla perdita di prebende da distribuire, l’abbandono che la sinistra riformista, e i sindacati in buona misura, hanno compiuto a danno dei ceti più deboli e svantaggiati non è stato solo un errore imperdonabile – e che di fatto rende pressoché impossibile il cambiamento del partito democratico – ma è assimilabile all’azione di un piromane che dà fuoco al bosco, che nel nostro caso è la tenuta della società nel suo complesso.
Come sempre quando c’è un danno c’è anche un responsabile, in molti casi un colpevole. Facile dire, come recitano i possibili candidati alla segreteria piddina che è “tempo che le classi dirigenti che in decenni hanno fallito” e si sono resi complici di infiniti guasti “vadano in panchina”.
Se anche facessero a mmuina i panchinari metterebbero a presidio del loro potere giovani tremebondi e “a disposizione”, o meno giovani ma con la stessa vocazione gattopardesca per simulare una voglia di rinnovamento farlocca come un tallero bucato.
ICalabresi, irriverente e perciò inviso ai “suddetti”, da me diretto pubblicò in video una lunga intervista del Vescovo di Cassano, oggi in posizione di vertice della Conferenza Episcopale italiana, che fece la denuncia più diretta e severa sulle piaghe che affliggono la nostra terra. In primo luogo, come è ovvio, la massomafia, la politica caporalato, il rapporto incestuoso tra pubblico e privato nella sanità, la stessa Chiesa che cede alle lusinghe e agli agi del potere.
Immancabile il commento di apprezzamento e l’impegno conclamato ad agire di conseguenza, questa volta affidati al capogruppo del PD alla Regione Domenico Bevacqua:
«Le parole usate dal vescovo Francesco Savino nell’intervista rilasciata a I Calabresi scuotono le coscienze dei calabresi e devono portare la società e la politica ad interrogarsi.
Come non dare ragione al presule di Cassano quando identifica la Calabria, come la Regione dalle belle possibilità che restano sempre inespresse, quando si interroga sul ruolo delle massonerie deviate, sul rapporto tra Istituzioni e politica, sulla libertà del voto o sulle logiche che fin qui hanno strangolato la sanità mettendo a repentaglio lo stesso diritto alla salute dei cittadini?».
Parole sacrosante, ma parole al vento, inutili, irrilevanti.
Anzi dannose per il partito inadempiente perché avrebbe dovuto – ma si è ben guadato dal farlo – tradurle in comportamenti e scelte politiche conseguenti.
Gauche adieu!