Ce lo saremmo risparmiato molto volentieri, ma la Calabria è in questi giorni onnipresente nell’informazione nazionale per l’incredibile strage di innocenti a poche decine di metri dalla riva a Cutro.
Al dolore per la morte di decine di disperati, donne e bambini compresi, ora è subentrata la voglia, la pretesa di sapere come sia potuto accadere. Questo osceno rimbalzo di responsabilità tra chi dovesse mettere in mare i propri mezzi di soccorso, preceduto da parole ciniche e inaccettabili del Prefetto Ministro, non ci obbliga a non dire con chiarezza cosa ne pensiamo, quali responsabilità, non necessariamente perseguibili dalla Procura di Crotone, siano già state identificate.
Di tutto o quasi tutto una breve elencazione motivata.
Al primo posto la pietà e il dolore per queste povere vittime. Immigrati clandestini o come diavolo vogliamo chiamarli – negher nella versione lombarda o nivuro in quella più ricorrente tra pochi calabresi che non ci rappresentano – ci dicono, e solo chi non vuol capire lo ignora – che l’immigrazione dal Sud e Sudest del mondo verso Nord è un fenomeno irreversibile. In presenza di condizioni estreme di vita, povertà, siccità, governi fantoccio e guerre civili o tribali – non si fanno scelte e calcoli razionali. Si segue l’istinto di sopravvivenza che ignora confini, dà la precedenza al proprio diritto di sopravvivere e se “ne frega”, ammesso che si sapessero, delle parole ciniche del Prefetto e del leader del Carroccio che urla slogan come un disco rotto.
Al secondo posto, la generosità e la scelta dell’accoglienza come elemento identitario dei crotonesi, ma in generale dei calabresi.
Cutro, che spesso è citata per fatti di ‘ndrangheta, ha nella disgrazia mostrato il volto migliore della sua gente. Non è poco perché non sempre e non ovunque gli Italiani meritano la qualifica di “brava gente”.
Al terzo punto, il macabro spettacolo tra Ministro, Frontex che è un progetto dell’Unione europea, Guardia di Finanza e Guardia Costiera.
Poiché quest’ultima in particolare, da anni, ogni giorno salva vite, dà l’immagine fedele di efficienza e dedizione, si fa fatica a pensare che questa volta abbia cambiato registro.
Alcuni lo hanno scritto, se non c’è stato – come crediamo – un esplicito ordine a non intervenire per una operazione di soccorso e non di repressione di un’azione illecita, cioè un intervento di polizia, si può condividere l’ipotesi – adombrata con molta prudenza da alcuni giornali – che “il clima” che si vive a Roma nei Ministeri di Piantadosi e di Salvini (ebbene sì anche lui è Ministro a conferma che i ministri di un tempo erano fatti di altra pasta) sia arrivato anche in periferia, la tentazione tra azzardare una manovra di salvataggio non avendo certezze e aspettare che qualcuno ti dica “muovetevi, uomini donne e bambini in mare a 100 metri dal bagnasciuga”. Non è un azzardo propendere per la seconda opzione.
Non è questione di destra o sinistra, pro Giorgia e da poco pro Ely, anche per le condizioni oggettive legate alla ritrosia dell’Europa a convincersi che il flusso migratorio è un evento globale e irreversibile e che segnala che il precedente equilibrio geopolitico è saltato. Non serve spiegare in che modo o perché.
Ma occorre dotarsi con urgenza di una visione del mondo di cui siamo parte non protagonista, di una classe di governo ovunque all’altezza di un cambiamento epocale, di un racconto della realtà che oggi, noi italiani in particolare, vogliamo rinchiudere nell’angustia, se va bene dei confini nazionali, se va meno bene in quella del proprio “territorio” considerato alla stregua dell’orticello di casa dove piantare pomodori.
Su questo fronte la nostra cultura è indietro di decenni e questo è un lusso che non possiamo permetterci.
Ecco perché con tutto il rispetto dovuto, non dobbiamo aspettare le conclusioni della Magistratura inquirente, non dobbiamo perderci nelle baruffe fastidiose della politica, dobbiamo solo indignarci senza se e senza ma per le parole ciniche e odiose del Prefetto Ministro e chiuderci nel dolore e nella pietà che sembra essersi smarrita a largo della Calabria.