Il termine che mi suggerisce l’elezione di Elly Schlein alla segreteria del PD, ma anche la leadership di Giorgia Meloni, è che siamo giunti ad un punto di svolta che deve essere “radicale”, cioè vero, profondo, duraturo.
Mi ha confortato che Carlo De Benedetti abbia appena pubblicato un breve saggio titolato “Radicalità”, termine – scrive l’autore – che usa “in senso etimologico, intendendo un cambiamento da operare alla radice. L’opposto della continuità, dei timidi aggiustamenti tattici dell’esistente ed anche l’opposto della celebre strategia enunciata nel Gattopardo, del cambiare tutto perché nulla cambi”.
E nella seconda di copertina De Benedetti sintetizza: “Un mondo dagli equilibri pericolosamente instabili, un’Italia sempre sull’orlo della recessione con una classe dirigente in disarmo, una società impoverita e divisa, una crisi climatica conclamata”.
Non si potrebbe dire meglio.
Coloro che si sono recati nei gazebo del PD per votare il nome del nuovo segretario certamente avrebbero condiviso un’analisi così severa, con la sensazione che il tempo della “ricreazione” è finito, e ricreazione vuol dire il populismo a gogò, leader inventati dal nulla e costruiti su un’immagine cangiante da destra a sinistra senza soluzione di continuità, ma anche senza scandalo (è pleonastico dirne il nome, Giuseppe Conte), una lettura superficiale e consolatoria di un quadro sociale devastato dalle disuguaglianze, dalla negazione di fatto di un futuro per generazioni di giovani, dalla divisione spinta oltre il sostenibile tra Nord e Sud.
Siamo obbligati a dare credito alla “novità” che su fronti diversi rappresentano Meloni e Schlein.
Promette di essere poco produttiva di risultati la campagna peraltro legittima in nome dell’antifascismo che si cerca di avviare, pensando che l’Italia di oggi sia la stessa del dopo 1968 e degli anni 70. Se le ideologie molto frettolosamente sono state archiviate non è poi facile resuscitarle quando fa comodo. La novità di “Giorgia” oggi consiste nella sua persona e nel suo ruolo istituzionale – e non è poco – presto dovrà farsi identificare con scelte radicali sul piano politico e programmatico, in buona parte condizionate dal contesto, nazionale e internazionale.
Per la Schlein, superata la sorpresa, peraltro molto meno “sorprendente” di quanto si creda, la sfida che è stata lanciata deve ora realizzarsi. A differenza della leader di destra, lei ha un doppio impegno: nel partito, da reinventare e resettare, e nel Paese dove c’è una domanda potenziale da soddisfare per una forza politica di sinistra riformista (radicale appunto) da anni latitante.
Ora queste considerazioni dal piano nazionale riportiamole in quello territoriale che più ci interessa: la Calabria e Cosenza in particolare.
Le primarie del PD hanno dato un risultato in controtendenza.
È accaduto in Campania, Molise, Basilicata e forse anche altrove. Non è il risultato in sé che lascia perplessi, Bonaccini è un amministratore e politico di qualità, ma la strumentalità, la miopia conservatrice in un tempo che urla per “cambiare in profondità”, la testarda convinzione gattopardesca che ha esaurito il giro delle lancette messa in campo da politici che sono sentiti come potenti e autorappresentatisi come insostituibili.
La conseguenza di questa marcia in direzione vietata non è il futuro politico degli sconfitti – che uno spazio e un ruolo se lo inventeranno – chiamiamoli per nome: Bruno Bossio, Nicola Adamo, i più noti ma non i soli – ma il fatto che molti calabresi per fedeltà gratuita, per disinformazione, per conformismo continuano a leggere la realtà con i paraocchi o a non leggerla affatto, in ciò “favoriti” da una partecipazione assente alla vita delle proprie comunità, da un’informazione carente e conformista, da poteri occulti, da classi dirigenti, che dirigono poco o niente, ma siedono intorno al tavolo che conta.
Nel quadro ben riassunto da Carlo De Benedetti la Calabria sembrerebbe non essersi accorta che la situazione del paese così com’è è insostenibile e sorprende che questo accada in una regione che moltiplica per 10, per 100 i problemi nazionali.
Ma se sono entrati in scena nuovi protagonisti della politica che portano con sé nel bene e nel male nuovi amministratori, nuova classe dirigente nell’economia, nuove proposte sul fronte della cultura e della formazione – se non siamo tutti preda di uno straordinario abbaglio – chi ha testardamente la testa rivolta al passato, anche recente, pagherà un conto salato, anche se per tante ragioni ingiustamente.