Sette sono i peccati capitali dell’economia italiana: l’evasione fiscale, la corruzione, la troppa burocrazia, la lentezza della giustizia, il crollo demografico, l’incapacità di stare nell’euro, il divario tra Nord e Sud.
Questi sono i peccati, cioè i nodi irrisolti dell’economia italiana che naturalmente producono effetti diretti e indiretti sui cittadini, soprattutto quelli socialmente deboli, condizionati e spesso vessati da fattori locali ma potenti quali sono ad esempio una classe politica inadeguata o corrotta o autoreferenziale (“io so io e voi nun sete un caz…”), massoneria deviata e mafie.
Temo, per essere sincero sono sicuro, che questi peccati in Calabria pullulino, infettino anime e corpi, cioè cittadini onesti e amanti della legalità, ma nutrano e gonfino le tasche e i petti di coloro che dai peccati traggono profitto e potere.
Cottarelli, al quale si deve questa definizione, si occupa dell’economia e delle sue distorsioni a livello nazionale, ma sa bene che i peccati si scontano in modo inversamente proporzionale alla ricchezza, allo stato delle infrastrutture, al livello del godimento dei principali diritti a partire da quelli scritti in costituzione.
Senza sommergervi con numeri e statistiche – ma non ne possiamo del tutto prescindere – provo a riassumere alcune delle voci più importanti, a cominciare dall’ economia e dall’evasione fiscale che rende più poveri gli onesti (per dovere o per obbligo) e più ricchi i disonesti.
Ammonterebbe a 90 milioni e 119 mila euro il totale complessivo del gettito fiscale dovuto e non versato all’erario in Italia.
Il mezzogiorno è l’area in cui si evade di più, con un’economia non osservata (ossia in nero) che tocca il 16,8% pari a 29 milioni e 128 mila euro.
La Calabria è la prima in classifica, cioè la maglia nera, per economia sommersa: questa equivale al 18,8% ed è quantificabile in 2 milioni e 730 mila euro. È come se ogni cento euro versati all’erario se ne “perdessero” 21,3.
Alla voce corruzione – dove immagino le statistiche siano ancora meno attendibili – l’analisi prende in considerazione un periodo di tempo ampio, che va dal 2004 al 2021. La media nazionale di reati corruttivi commessi ogni 100mila abitanti è pari a 10,03. La Calabria ne registra più del doppio – 23,32 – e nella classifica generale si piazza così al secondo posto.
Peggio fa solo il Molise, mentre dal gradino più basso del podio in giù troviamo Basilicata, Lazio e Campania.
Ora la voce più dolente, la povertà. Su due milioni di famiglie italiane povere, circa 775mila sono al Sud; inoltre, su 5,6 milioni di individui in condizioni di povertà, 2,3 milioni sono al Sud. In più, in misura percentuale rispetto al totale della popolazione, l’incidenza dei poveri al Sud è maggiore che al Nord, e al Mezzogiorno sono anche cresciuti nell’anno della pandemia: 9,4% nel 2020, contro l’8,6% nel 2019.
Della Pubblica Amministrazione, cioè la più volte svillaneggiata burocrazia rilevo solo i dati dell’occupazione che non sono confortanti in una regione dove il lavoro nel pubblico è prevalente.
Il Sud soffre. Tra il 2010 e il 2019, infatti, è crollata l’occupazione negli enti pubblici, soprattutto al Meridione – 27% in meno al Sud, contro il 18,6% in meno al Nord. Anche le retribuzioni fanno fatica a crescere, e se non crescono le retribuzioni, non crescono nemmeno i consumi. Svimez sottolinea come la debolezza dei consumi degli individui sia causata da una dinamica salariale piatta (circa il 15% dei dipendenti al Sud è sottopagato, contro l’8,4% del Centro-Nord), oltre che da un tasso di disoccupazione alto e in crescita rispetto al periodo pre-Covid.
Chiudiamo “in bellezza” con la demografia (si fa per dire).
Al pari delle altre regioni meridionali, la Calabria è attualmente interessata da un intenso processo di declino demografico, dovuto essenzialmente ad una dinamica naturale estremamente negativa. Il tasso di incremento naturale nella nostra regione scenderà dall’attuale -2,4‰ a -10,2‰ nel 2065, in linea con i valori medi della ripartizione meridionale, mentre il valore italiano (seppur anch’esso negativo) sarà più contenuto. Il tasso di incremento migratorio, che pur si prevede leggermente positivo nel lungo periodo, non sarà sufficiente a compensare tale dinamica naturale, determinando un tasso di incremento totale della popolazione in ulteriore diminuzione rispetto al -2,1‰ attuale (-8,8‰ nel 2065).
Sono consapevole che questi dati sono noti a molti, che non eccitano la curiosità e l’interesse di chi legge. Ma aiutano a ricordare che, dove ci sono crisi persistenti e di antica data, diritti negati, sperequazioni sociali insopportabili, ci sono anche coloro che nel corso del tempo hanno concorso con la loro azione e soprattutto con la propria oggettiva corresponsabilità.
Non sono tutti in Calabria i coprotagonisti dello “sfascio” calabrese, ma sono colpevolmente anche e in numero rilevante calabresi.
È inutile citarli perché li conosciamo tutti, non solo per l’area di appartenenza – politica, imprenditoriale, parassitaria, ecc – ma addirittura con nome e cognome. Non è difficile ricordarli perché anche per decenni sono sempre gli stessi. Se escono di scena i padri entrano i figli – che siano geni o incapaci fa lo stesso – se possibile ai nonni subentrano i nipoti e pronipoti.
Mi spiace citare una famiglia che stimo e conosco personalmente da molto tempo. Non esprimo nessun giudizio di valore, ma solo esemplifico una realtà.
Quando nel 1953, a 7 anni, si votava per il rinnovo del Parlamento debuttava tra gli eletti Dario Antoniozzi, figlio rispettabile e rispettato di Olindo, Presidente e dominus della scomparsa Cassa di Risparmio.
Con Dario ministro più volte debuttava a distanza di anni anche il figlio Alfredo oggi deputato di FdI – prendendo atto che per la DC non c’è più posto ma per i democristiani ci sono pianure sconfinate – dopo essere passato tra i banchi del Consiglio regionale del Lazio.
In contemporanea iniziava il suo cursus honoris Dario jr nipote del nonno omonimo, che conobbi perché compagno di scuola elementare di una delle mie figlie. Credo che si sia fermato a livello di Circoscrizione a Roma, ma è giovane e potrà crescere.
Anche qui senza giudizi di valore, la stessa trafila familiare con Giacomo Mancini con il figlio Pietro e con il nipote Giacomo jr.
Ma i casati in politica sono numerosi e non solo in Calabria, basti ricordare il “principato di Salerno” con i De Luca o il casato dei Gentile a Cosenza con Andrea e Stefania (se non ricordo male). Dico casato perché confesso che pur avendo “rischiato” per un’improvvida proposta del PSI di essere il teorico e sicuramente perdente concorrente di un Gentile ancora non riesco a distinguere Pino da Tonino. La sola cosa che so è che settimane orsono ho salutato presentandomi un Gentile, essendo lui ed io non sicuri delle rispettive identità.
Finisco con una considerazione impolitica e impudente: in un qualunque ambiente di lavoro dipendenti incapaci, inaffidabili, incartapecoriti e pure incattiviti sarebbero sbattuti fuori almeno con male parole.
Mi chiedo perché questo non accade in Calabria? Per affetto? Per abitudini e fedeltà al detto “chi lascia la via vecchia per la nuova…”? Sarebbe autolesionismo.
Per il ricordo delle assunzioni clientelari in voga fino a 20 anni fa? Sarebbe aver l’illusione che l’orologio muova le lancette all’indietro.
Non conosco la risposta, mi incaz… inutilmente, mi espongo alle carognate di innominabili a Villa Rendano e con ICalabresi, e soprattutto mi chiedo: sono io un cosentino riuscito male o sono altri che hanno congelato cervello e viscere?
Mi piace pensare che sia vera le seconda.
1 Comment
Ha scritto milioni di euro di evasione. Un refuso: miliardi… 90 miliardi!