Cose indegne, azioni riprovevoli, condotte sleali e imperdonabili, dal 30 maggio 2022 in poi ne sono state fatte a dosi massicce.
Se volessimo essere lessicalmente corretti dovremmo parlare della storiaccia di una Fondazione conquistata con un atto di plateale tradimento e allontanata dalla missione, dalle indicazioni e dalla volontà sempre manifestata da Sergio Giuliani.
In un paese civile, non atono, passivo e spesso complice, tutto questo avrebbe suscitato non la reazione di una sola persona, che questa vergogna ha subito, ma non ha accettato passivamente pur avendo detto a chiare lettere che era venuto a Cosenza dopo lunghe traversie di salute per recuperare, nella sua città natale, oggi irriconoscibile, una condizione più serena e gratificante.
Ribadisco e lo faccio con consapevolezza e pronto a difendermi e attaccare in tutte le sedi e in tutti i modi che Walter Pellegrini è stata l’anima nera, nera come la pece, di una manovra che doveva dargli quella visibilità e parvenza di potere, che la Casa editrice fondata sul padre di ben altra pasta, non è oggi in grado di dargli. Santo Emanuele Mungari da consulente della Fondazione dall’inizio e falso amico, come tutti gli altri, ha organizzato a partire da poche settimane dopo la scomparsa di Sergio Giuliani una strategia che ho capito, ricostruito, corredato da molti elementi probanti con molta difficoltà, perché partivo come per tutti gli altri da un sentimento sincero e confidente di amicizia, affetto, stima costruitosi in un tempo lungo.
La giustizia che pur non apprezzandola in molti dei suoi addetti è stato un passaggio obbligato, reso più complicato dal fatto che l’essere nato a Cosenza ma non essere parte di nessun giro o consorteria (Cosenza ne è piena e si vede, purtroppo nell’inerzia delle persone e nella complicità delle cosiddette èlites, che sono in gran parte i valvassini di un sistema di potere feudale, e fingono di non saperlo) ha reso difficile trovare avvocati di sicura affidabilità. Mi sono affidato ad un bravo professionista e che considero amico, senza se e senza ma. Ma poi aumentato il carico di lavoro sono tornato io stesso alla mia dimestichezza con il diritto sostanziale e sono stato affiancato da un bravo collega di Grosseto.
Ora sto passando ad una fase giudiziale e stragiudiziale (almeno in parte) dove il sistema relazionale di qualcuno dei reprobi, già entrato in campo, potrà incontrare maggiore difficoltà, dove i grandi protettori che sono presenti e forti ovunque tra laici e cattolici forse saranno più prudenti nell’esporsi.
Ma per me non cambia nulla. I Nuovi Calabresi stanno rendendo nudi i reucci cosentini. Poco, ma per questi reucci il poco è sempre troppo.
Ora spiego perché questo mio “ritorno di fiamma” non amorevole ma schifato, offeso e incazzato, che da giornalista avrei dovuto mettere all’inizio. Ho preferito dare la precedenza alle motivazioni perché l’occasione, l’evento che mi ha spinto è solo una mediocre e offensiva messa in scena a beneficio di qualche trombone presente a Villa Rendano per presentare niente di meno che un Premio in nome di Sergio Giuliani, fesso e gabbato anche da morto.
È come se Bruto, Decimo Giunio e Marco Giunio, dopo aver assassinato Cesare avessero deciso di dedicargli a parte la statua che da sempre non si nega a nessuno, un grande cerimonia annuale, nel giorno del cesaricidio, a memoria del caro estinto.
Walter Pellegrini non è Bruto, e un clone di Sergio non gli avrebbe detto “Anche tu oh Walter, figlio mio!” ma più realisticamente “cumu cazzu ti permetti di inventare un premio, con i soldi miei, a presa in c…, dopo che mi hai ammazzato la Fondazione per farci i c… tuoi”.
Io sono sicuro che Sergio con un linguaggio più educato questo avrebbe detto e poi sarebbe passato a guardare il prof. Gambaro che chiamato da me e con me ha interloquito fino alla morte di Giuliani e gli avrebbe detto “Ma caro prof. che cavolo ha a che fare con questi figuri lei veneziano che non è mai venuto a Cosenza per partecipare al CdA del quale Franco Pellegrini la volle come membro la prima e la seconda volta (ndr partecipando al CdA da remoto sul treno che da Verona lo portava a casa capiva 2 parole ogni 10)? È andato in pensione e ha tempo libero da occupare? O è solo frutto di senilità veneta?”.
Poi avrebbe ignorato perché sconosciuta la Catanese, che nei pochi mesi non bloccata purtroppo dalla cattiva salute, ha perseguito con costanza e livore un solo obiettivo: fare fuori una giovane e brava professionista venuta da Milano per lesa maestà (non si è mai capito di che natura). Testa richiesta, testa tagliata dal boia più disponibile.
Ed infine avrebbe guardato un signore impettito, elegante, sorridente e compiaciuto del ruolo di comparsa che gli è stato assegnato dalla coppia più bella del mondo Bossio – Adamo.
Ma Giuliani che parlava poco di suo le quarte fila non le considerava proprio.
In conclusione Villa Rendano da oggi ha in programma – “arraffazzato”, una “marchetta” o se preferire un piccolo cadeau a uno e uno all’altro ecc -.
Villa Rendano era stata da me chiamata “la casa delle idee”, poi con un piccolo ritocco compreso nel prezzo di 28mila euro annui, era diventata “la città al centro”. Certo più opportuna perché le idee sono latitanti al momento, ma anche “la città al centro” mi pare troppo, considerato che claque compresa la sala riunioni di Villa Rendano era occupata a metà nonostante l’importanza dell’evento marchettaro e provocatorio.