Non so come definire questo scritto. Non credo che sia un articolo, almeno nella sua accezione corrente, non è un racconto personale perché la domanda che è il titolo non riguarda me solo, ma credo molte migliaia, forse centinaia di migliaia di calabresi. Si può “lasciare la Calabria e Cosenza in particolare anche vivendoci.
Se non la si ama come un tempo, se ci si chiude nel proprio recinto personale perché più gratificante e accogliente della realtà sociale, anche questo è un abbandono, un “lasciare”.
Chi scrive aveva nutrito il desiderio per una vita intera di “tornare a casa”, ma ha deciso di lasciare la sua città natale e la sua terra. Lo ha, lo ho fatto, con rancore più che con dolore e temo che la grande maggioranza, specie dei giovani costretti o indotti a replicare l’esperienza dei nonni e dei padri, emigrare al nord o spesso lontano dall’Italia, viva un sentimento analogo.
Il rancore è sempre accompagnato dal sentimento dell’ingiustizia subita e la Calabria odierna è ricca di ingiustizia.
Voi, cari amici e lettori de I Nuovi Calabresi e in precedenza de ICalabresi, conoscete la storia di quattro traditori e infedeli, tre calabresi che per pura ambizione, fondata sul deserto dei propri meriti, ha ucciso, il termine esatto non è rubare, occupare, impadronirsi, è uccidere, un dono ricco di un ingenuo mecenate cosentino affiancato da un altro, non mecenate, ma parimenti mosso da amore per la propria città.
Pensare che si possa rimediare ad un “omicidio”, sia pure a danno di un luogo fisico, rivolgendosi ai giudici è un’illusione, una fuga nella fantasia. Non solo perché spesso la giustizia si trova più facilmente fuori dai tribunali, ma perché i giudici che debbono pronunciarsi su questo delitto sono spesso pigri, infastiditi di dover leggere pagine di atti e allegati, e soprattutto non conoscendo il contesto calabrese non fanno differenza tra Cosenza e Sondrio, o tra Africo e Vipiteno.
Poi la Cartabia gli dato una bella mano con una riforma che si riassume in “presto e male”, dove il presto arriva dopo anni e il male quasi subito.
La soluzione, ammesso che ce ne sia la possibilità, deve essere trovata qui, in questa terra che il resto d’Italia conosce poco e identifica con i racconti spesso veritieri ma anche banali, di sottile razzismo, pieno di luoghi comuni.
Se vogliamo che i nostri figli e nipoti non lascino la Calabria con rancore, con l’idea che poi si realizza, di non tornarci più – questa è “la novità” dell’odierna emigrazione rispetto al passato – tocca a noi tutti calabresi per bene, generosi e accoglienti secondo un’antica tradizione fare il possibile.
Non è difficile, non è pericoloso, è solo giusto e necessario: dire “no, non sono d’accordo”, manifestare la disistima che meritano molti politici di cartapesta, saltimbanchi inutili e dannosi, tanti uomini di cultura che tacciono per convenienza, tanti professionisti, avvocati, giornalisti, che temono forse a ragione di essere privati di clienti e dell’ossequio servile e fasullo dei passeggiatori di corso Mazzini.
Penoso lo spettacolo nei pochi giorni trascorsi a Cosenza di recente dato dai pochi “amici” o conoscenti che si erano dichiarati tali che imbarazzati se salutarmi o meno hanno accelerato l’andatura, hanno mal celato un imbarazzo ridicolo. Vero Sergio, vero Maurizio?
Ma questo è miseria umana. Io parlo di ben altro. Massoni deviati, collusi con la ’ndrangheta, tromboni del potere meglio se sporco, parassiti ben pasciuti. A loro vorrei poter far arrivare un grido collettivo: “fuori dalle palle!”
Che fare? Da solo poco, ma ci proverò lo stesso. Ma penso ad altro. Proporre un’opportunità ai calabresi onesti, che sono la grande maggioranza, con spirito civico, interesse generoso per le loro comunità. Con pochi amici – io penso ad un economista e manager campano, ad un raffinato scrittore e intellettuale comasco, un cosentino della diaspora accademico e intellettuale un po’ visionario (è un complimento), un cosentino, meglio un paolano intellettuale e saggista. Ma la speranza è che siano molti di più pronti a dare un contenuto non convenzionale, una missione condivisibile perché generosa per la nostra terra e per la libertà e la dignità perduta da molti calabresi, e per quanto mi riguarda, cosentini concorrendo a fare nascere un’associazione che dia una “casa” a chi la cerca e la vuole, un ente dove non si paga e non si guadagna denaro, ma si può ottenere nel tempo una cosa che è preziosa senza pari: il diritto di avere diritti, quelli costituzionali in primo luogo, che in Calabria di fatto non esiste e che la rende il tacco reietto dello stivale. A tempo debito, spero presto, vi presenteremo ciò che abbiamo discusso, condiviso, pensato (e tutti se vogliono attraverso I Nuovi Calabresi possono contribuire con le proprie idee), lo statuto della auspicata associazione con un titolo provvisorio: “La Calabrià è Italia”. Ma c’è di meglio, con il vostro contributo.
3 Comments
Proviamoci, Franco
Ci provo ma se poi c’è la fuga per timore non so di cosa ne trarrò le conseguenze, Andare avanti fino a provvedimenti stragiudiziali che potrebbero essere ravvicinati,
Un caro saluto
Franco
Va bene sono daccordo proviamo a cambiare la sorte dei calabresi