Chiedono se abbiamo visto l’immagine del bambino senza testa: «L’avete vista?». Al di là del muro che divide Rafah dall’Egitto, questa è una domanda raccapricciante, macabra, irripetibile. Ma dall’ultima città del Sud della Striscia di Gaza, quel piccolo corpo carbonizzato, senza gamba, senza cranio, con ancora addosso il pigiama della notte e mostrato al cielo dalle mani di un padre disperato, è il simbolo di un nuovo massacro già ribattezzato del 27 maggio.
Questo è l’inizio dell’articolo de Il Corriere on line sull’ennesima strage compiuta dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza.
Per Netanyahu “un tragico errore”. Può capitare quando si lanciano migliaia di bombe e centinaia di missili su un fazzoletto di terra dove si ammassano almeno due milioni di palestinesi.
C’è qualcuno che discetta come un filologo se si tratti di genocidio o di strage o di legittima difesa. È tutto questo, meno credibile la legittima difesa perché qui in questa guerra l’aggettivo legittimo/a sarebbe una bestemmia.
Finirà mai questo massacro? Probabilmente sì ma per mancanza di persone vive, cioè per indisponibilità della “materia prima”.
E noi canteremo – ignorando palestinesi e ucraini – “mettiamo i fiori nei nostri cannoni”, tornando agli anni ’70 e al teatro Ariston di Sanremo. Canta che ti passa.