Il nostro Paese è pieno di paradossi. Elencarli tutti occuperebbe lo spazio di un buon terzo di questo articolo. Per sottolineare che, pur con lo sguardo rivolto all’Italia tutta, la Calabria resta la nostra priorità ne segnalo uno che ci appartiene: i calabresi – lo si capisce dai commenti che riceviamo e dalle battute che si scambiano per strada – ha una delle peggiori classi politiche e tuttavia la gran parte ad ogni elezione le conferma fiducia votandola.
Ma c’è un altro paradosso che riguarda l’Italia intera: abbiamo, sia pure con molte eccezioni quasi mai interessanti il nostro Mezzogiorno, un sistema giudiziario inefficace, riaggiornato periodicamente con pochi effetti (in taluni casi peggiorativi), moltissimi magistrati che fanno egregiamente il loro lavoro, ma altri e non credo pochi che si spendono in termini di quantità e qualità con molta parsimonia.
Abbiamo avuto purtroppo decine di eroi uccisi per la giustizia e la lotta contro la criminalità e dimentichiamo lo scandalo del CSM che riduttivamente abbiamo circoscritto al caso Palamara.
Non tutti i mali della giustizia sono italiani, come ovvio – non è male ricordare quanti film o inchieste hanno demitizzato il sistema giuridico americano, dove il razzismo persistente in molti degli Stati USA applica per bianchi e neri due pesi e due misure, ma molti, troppi sono italiani.
C’è una considerazione ambigua, sospesa tra il riconoscimento della funzione essenziale per la società della giustizia e la prudenza o la sfiducia dei suoi confronti.
Lo confermano tra i tanti questi aforismi, di provenienza del tutto disomogenea e in tempi assai diversi.
Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?”
SANT’AGOSTINO
“Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata all’ombra della legge e sotto il calore della giustizia.”
MONTESQUIEU
“Io dico che bisogna stare attenti a non confondere la politica con la giustizia penale. In questo modo, l’Italia, pretesa culla del diritto, rischia di diventarne la tomba.”
GIOVANNI FALCONE
“La vita di ogni comunità esige che si combattano fino in fondo il cancro della corruzione, il cancro dello sfruttamento umano e lavorativo e il veleno dell’illegalità. Dentro di noi e insieme agli altri, non stanchiamoci mai di lottare per la verità e la giustizia.”
PAPA FRANCESCO
Le citazioni non sono tratte a caso perché provengono da fonti del tutto eterogenee, ma non arbitrarie.
Non ricordo il nome di un filosofo del diritto dell’800, ma una delle sue affermazioni sì: la violenza dello Stato si chiama diritto, quella dell’individuo delitto.
Spero che la memoria non mi abbia ingannato. È indubbio che quanto più alta ed essenziale è la funzione della Giustizia tanto più severo è il giudizio dei cittadini.
Torniamo al nostro contesto calabrese e cosentino. Il Procuratore Gratteri, per meriti e per un ampio supporto mediatico, è divenuto il nostro supereroe per la legalità.
La lotta che negli ultimi anni ha condotto con arresti di massa e maxiprocessi ha colpito duro ‘ndrangheta, magistrati, politici corrotti e pseudomassoni.
Ma a fronte dei risultati importanti in termini repressivi di Gratteri e altri Procuratori, specie a Reggio Calabria, perché altri Tribunali e altre procure non godono di grande stima?
Chi scrive ha voluto che la sede legale della Fondazione Giuliani e de ICalabresi fosse a Roma, perché ho più fiducia di quel Tribunale, il che non significa che Roma sia la culla della buona giustizia e Cosenza il suo esatto contrario.Ma la lettura di alcuni libri, di inchieste giornalistiche doverosamente pubblicate da giornali non calabresi, i casi di flagrante corruzione o di denuncia di giudici corrotti fatta dallo stesso Gratteri, Procuratori che pasteggiavano insieme con noti boss della malavita o incredibilmente pigri e “chiusi nel proprio recinto”, frase non mia ma di un illustre avvocato, invita chi può ad affidarsi a sedi giudiziarie di migliore fama.
Come Direttore responsabile de ICalabresi ho avuto due querele che chiamare temerarie è un eufemismo: una affidata alla Procura di Catanzaro per diffamazione a mezzo stampa per aver pubblicato con un pizzico di stupore la carriera a velocità del suono di un docente, da ricercatore a ordinario in sei anni. Un genio sicuramente e difatti l’articolo non è andato oltre le informazioni di Wikipedia che a rigor di logica avrebbe dovuto pur essa querelata. Ignoro che fine abbia fatto la querela che comunque solo dopo sei mesi di indagine ti viene succintamente comunicata (prolungati per altri sei), mentre un’altra è arrivata oltre che a me a 30 altri giornalisti che avevano riportato alcune risultanze delle indagini depositate da Guardia di Finanza e Procura di Vibo Valentia da un paio di persone accusate di aver fatto una truffa di 100 milioni di euro, in un contesto mafioso. Anche in questo caso non è bastata l’archiviazione richiesta dal PM perché i due “imprenditori” – diciamo così – hanno fatto appello a Lamezia e credo con successo. Come vedete la trasparenza a garanzia degli inquisiti o semplici querelati è pressoché nulla e la riforma Cartabia (e a seguire quella proposta da Nordio) con nobili motivazioni costruiscono una barriera di fumi tossici che aiuta i rei, almeno potenziali, con una straordinaria protezione della loro privacy in taluni casi delinquenziali.
Perciò quel paradosso con cui abbiamo iniziato questo articolo è destinato a durare, almeno un mix di fiducia senza se e senza ma e di prudenza e vigilanza critica limiterà i processi di santificazione iniziati a Milano con la stagione di “Mani pulite”.