Attraverso il laboratorio del processo – considerato come naturale luogo di emersione dei diritti umani – si è tentata una complessa ricostruzione del confine mobile esistente tra “legalità” e “legittimità”. La lezione che si trae dall’insegnamento di Hannah Arendt è che i movimenti totalitari «trovano un terreno fertile per il loro sviluppo dovunque ci sono delle masse che per una ragione o per l’altra si sentono spinte all’organizzazione politica, pur non essendo unite da un interesse comune e mancando di una specifica coscienza classista». L’innaturale conformismo di una società di massa costituisce, infatti, la causa principale della distruzione del mondo comune «che è di solito preceduta dalla distruzione della molteplicità prospettica in cui esso si presenta alla pluralità umana». In tale ottica, “il diritto di avere i diritti” deve costituire un predicato imprescindibile per l’uomo, affinché questi possa essere effettivamente considerato tale e non semplicemente “individuo” (Citazione da Hanna Arendt).
Di fronte ai grandi soggetti economici che sempre più governano il mondo, l’appello ai diritti individuali e collettivi è la via da seguire per impedire che tutto sia soggetto alla legge “naturale” del mercato. Nel 2000 l’Unione Europea si è data una Carta dei diritti fondamentali, la prima del nuovo millennio. Ma non bisogna fermarsi soltanto alle dichiarazioni formali. I fatti ci dicono altro: le donne e gli uomini dei paesi dell’Africa mediterranea e del Vicino Oriente si mobilitano attraverso le reti sociali, occupano le piazze, si rivoltano in nome di libertà e diritti, scardinano regimi politici oppressivi; lo studente iraniano e il monaco birmano, con il loro telefono cellulare, lanciano nell’universo di internet le immagini della repressione di libere manifestazioni, anche rischiando feroci punizioni; i dissidenti cinesi chiedono l’anonimato in rete come garanzia della libertà politica; le donne africane sfidano le frustate in nome del diritto di decidere liberamente come vestirsi; i lavoratori asiatici rifiutano la logica patriarcale e gerarchica dell’organizzazione dell’impresa e scioperano; gli abitanti del pianeta Facebook si rivoltano quando si pretende di espropriarli del diritto di gestire i loro dati personali. L’elenco potrebbe continuare a lungo perché la “rivoluzione dell’eguaglianza”, mai davvero compiuta, è oggi accompagnata dalla “rivoluzione della dignità” e sta dando vita a una nuova antropologia, che mette al centro l’autodeterminazione delle persone… (Citazione di Stefano Rodotà autore del saggio Diritto di avere diritti).
L’idea di costituire un’Associazione che si chiamasse Il diritto di avere diritti utilizzava senza saperlo termini introdotti da una grande pensatri tedesca e da un giurista e politico calabrese che avrebbe meritato di essere eletto Presidente della Repubblica e meriterebbe che la Calabria e Cosenza, nella cui provincia arbereshe era nato, onorassero e celebrassero magari cambiando il nome di strade intitolate a avvocati commercianti/imprenditori politici e amici.
L’Associazione non nascerà perché ho riscontrato molte perplessità ad aderirvi anche entrando a fare parte dei pochi Organi che ogni Statuto prevede.
Perché questa ritrosia non la capisco. Ma non importa, con articoli e commenti su I Nuovi Calabresi, spero non solo a mia firma, del “diritto dei diritti” negato ai calabresi ne scriverò soprattutto rendendo chiare quali ne sono già oggi le conseguenze e quelle più gravi e irreversibili che ne seguiranno.
1 Comment
Mi auguro che il disagio attuale che si presenta il larghe fasce sociali oggi, generi una maturazione di idee che porti a sostenere questi indiscutibili principi