Sono da sempre convinto che se devi giocare una partita vincente devi avere a disposizione un campo regolare di ampie dimensioni e una squadra di qualità. Non è l’effetto dell’eccitazione che ci ha regalato il Cosenza battendo il Pisa al 98’ dell’incontro. È la consapevolezza, introdotta con un artificio metaforico, del fatto che da decenni ormai se vuoi capire ciò che sta accadendo e che accadrà con effetti imprevedibili, potenzialmente negativi per noi europei, non devi guardare né a Roma dove si esibisce un governo, non questo in particolare, che vive di slogan e di banalità, né tanto meno al cortile pieno di erbacce di casa nostra.
Con un bel po’ di ritardo bisogna prendere atto che sono in corso processi che varcano i confini tradizionali e sarebbe cosa buona e giusta se in tanti se ne convincessero.
Oggi la politica è solo o prevalentemente geopolitica, con un orizzonte a 360°, in cui ciò che attira la nostra attenzione è fatta da fattori che in gran parte non governi e in ogni caso non lo fai con mezze cartucce, non solo in Italia ma in buona parte dell’Occidente. Facile a dirsi ma un buon inizio sarebbe se la “misteriosa” geopolitica non fosse solo appannaggio di Luca Caracciolo con il suo mensile Limes, ma diventasse centrale nella formazione universitaria e oltre e fosse la precondizione per gestire la politica internazionale.
Si eviterebbe tanto per cominciare a un ciarlatano che è addirittura un leader istituzionale di sparare cavolate a raffica. Ci si asterrebbe dall’affidarsi per questo contesto a politici con il profilo di Di Maio e di diplomatici, tra tanti in gamba, che hanno il pedigree che viene dall’avere due o più cognomi come la contessa Serbelloni-Mazzanti-Viendalmare.
Un’altra proposta che farà crescere la mia popolarità verso il basso: le Università prevedano nei Piani di studio la Geopolitica e ne affidino l’insegnamento a veri professionisti con un profilo internazionale vero e non inventato come quell’Italiano pescato nell’Ohio, il più sfigato stato degli USA, per inventare la figura tragicomica dei navigators.
Sempre a beneficio dei pochi rapporti di amicizia e stima con docenti di Unical ridimensioniamo altre discipline fuori moda come Sociologia e Psicologia, almeno eviteremo laureati che senza sponsors finirebbero con il fare i camerieri in qualche trattoria.
A conferma di un convincimento non recente e ben radicato provai a organizzare un progetto formativo con cadenza annuale affidandone la Direzione scientifica proprio a Lucio Caracciolo. Disse subito di sì, ci incontrammo a Roma più volte e quando sembrava essere miracolosamente vicino alla partenza il Gruppo l’Espresso editore di Limes fece arrivare il messaggio che essendo in una fase di cambiamento i nuovi progetti dovevano essere fermati.
In verità il “festival della geopolitica” era stato un mio tentativo di coprire il buco della cosiddetta Fiera del Libro che con continui e vaghi rinvii della società che avrebbe dovuto organizzarla e con l’ editore Walter Pellegrini che avrebbe dovuto coinvolgere, non a chiacchiere, gli editori del Mezzogiorno a quattro mesi dall’evento si riservava di parlarne al Direttore della Libreria Mondadori di Cosenza, mi fece capire in ritardo che era l’ennesima patacca a caro prezzo che bloccai attirandomi le minacce e l’ira della responsabile dell’immaginifico progetto.
Una piccola chicca: il fantasioso e un po’ imboglioncello (è un eufemismo ipocrita) direttore del festival, mio omonimo, è così entrato nel clima di Fantasyland da inserire in una citazione da record, – non c’è una sola accusa vera cioè non smentita dai Verbali del Cda della Fondazione Giuliani – da citare come evento di pregio realizzato grazie a lui la fantomatica fiera ascrivibile invece a tentata truffa!
Ma torniamo alla necessità di guardare con profondità all’orizzonte geopolitico, oltre a quella di non dire cazzate e fare politiche da cazzari.
Oggi l’Italia tratta un fenomeno strutturale e irreversibile come l’immigrazione di origine africana come un problema di ordine pubblico. E infatti il Ministro (o questurino?) dell’interno ne parla e lo gestisce come fosse un’invasione imprevedibile di cavallette.
Forse ci aiuterebbe sapere che la scelta strategica con la quale nacque a Roma la CEE, poi divenuta Unione Europea, era di farne diventare parte un buon numero di paesi africani, colonie della Francia. Il nome di questo allargamento era già deciso “Eurafrica”.
Per gli architetti della Comunità europea, da Adenauer a Schuman, da Spaak a Monnet, un po’ meno De Gasperi, Europa dei sei fondatori della CEE, insieme con l’Africa sub sahariana (da dove partono i disgraziati che cercano di sopravvivere) doveva essere un Blocco euroccidentale con tutte le appendici coloniali capace di guardare l’alleato americano negli occhi anziché battere i tacchi ai suoi ordini. E di trattare alla pari con l’URSS.
Dubito che i nostri governanti conoscano questo precedente e altri particolari che fornisce l’ultimo numero di Limes (Africa contro Occidente) che li obbligherebbe a studiare la storia di una vicenda complessa come la fuga inarrestabile di decine di milioni di africani che ora vorremmo far sparire, mentre negli anni 50 volevamo far diventare membri della prima Europa al via del processo di unione.
Eurafrica non si realizzò – soprattutto perché non la vollero gli USA – ma udite udite l’Algeria per volontà della Francia divenne fino all’indipendenza membro a tutti gli effetti della NATO!