Inizio con qualche imbarazzo quest’articolo, che segna la ripresa senza limiti della pubblicazione de I Nuovi Calabresi, con le parole che Enzo Tortora pronunciò in occasione del suo ritorno in TV al termine di una persecuzione giudiziaria per la quale magistrati superficiali e desiderosi di visibilità non hanno pagato alcun prezzo: “Dove eravamo?”.
Una storia che più attenuata si ripete, perché la sacrosanta autonomia dei magistrati è diventata in molti casi l’impunità di una corporazione, dove non tutti sono solo custodi della legge.
Il titolo è un po’ bizzarro. Parla di amore, amore in tutte le sue declinazioni: compassione, amicizia, vicinanza disinteressata, fedeltà e preoccupazione benevola verso gli altri; c’è gran penuria di tutto questo “amore” nei tre anni di ritorno a Cosenza, ne ho visto, ma molto meno del suo contrario, ovvero cattiveria e infedeltà.
Non mi riferisco solo all’incredibile assalto alla Fondazione, che era nata forse con un di più di ingenuità, ma certo per amore per la sua città per volontà di Sergio Giuliani. Credo di poter dire che lo stesso sentimento mi ha motivato a dare l’anima perché quel progetto diventasse realtà e un riferimento di valori e di cultura per i cosentini. Il resto lo conoscete e non mi ripeto. Ma correggendo un mio parziale errore iniziale, per il quale l’assalto a Villa Rendano, era nato da sentimenti falsi e tossici di quattro traditori – che pure ci sono stati – ho progressivamente allargato l’orizzonte, ho cominciato a capire che l’evento era ancora più grave perché svelava a chi era stato sviato dall’amore, nelle sue varie accezioni, il cancro – è un termine forte me ne rendo conto -che s’è sviluppato nel corpo di Cosenza che affida i buoni sentimenti, le qualità genetiche di questa terra: generosità, senso di umanità, accoglienza disinteressata solo a una buona parte dei cittadini, delle persone comuni. Ho detto buona parte non a caso perché Cosenza non è, anche tra la gente comune, solo innocenza e buoni sentimenti.
Da dove cominciare? Verrebbe spontaneo dire da chi ha potere e lo ostenta. Certo ma non subito.
Io penso a un’esperienza apparentemente minore, ma cha tale non è come cercherò di spiegare.
Mi riferisco a quattro scuole superiori della provincia, ovviamente intendo professori e dirigenti, non i ragazzi, che avevano partecipato, vincendolo, ad un concorso della Fondazione chiamato PensAMIlastoria, che metteva a confronto il racconto dell’identità dei propri paesi raccontata con filmati o altri modi.
Poche settimane prima della “caduta” c’era stata a Villa Rendano la cerimonia di premiazione con tutti gli studenti, docenti e dirigenti. In un clima festoso furono dette con convinzione parole di elogio alla nostra collaboratrice Sara Ausilio che aveva per la prima volta portato a termine con successo il concorso. Io mi limitai a ringraziare tutti e a rinnovare l’invito ad essere e comportarsi da cittadini liberi.
Quando, espulso dalla presidenza, scrissi PEC o mail per chiedere ai dirigenti delle scuole premiate di ripetere per iscritto i giudizi entusiastici sull’Ausilio, per poterla difendere da accuse cattive e false (che le costarono il picco d’odio della Catanese che chiese e ottenne le sue dimissioni forzate) nessuno, pur sollecitato, rispose. Analogamente fece il capo dell’Ufficio scolastico di Cosenza.
Cosa significa tutto questo? Che la scuola in quell’occasione ha dato una lezione ai ragazzi: fatevi i fatti vostri, chissà che ha fatto l’Ausilio e per contorno ricordate che alla Fondazione oggi c’è un altro Pellegrini che si chiama Walter. Ha fatto cioè il contrario della sua funzione educativa, che è soprattutto educazione civica, ed ha inoculato il virus dell’acquiescenza e del timore reverenziale.
A completare “l’educazione al contrario” ci penserà poi l’Unical da cui non esce una voce critica e libera o per chi cercherà lavoro i tanti falsi potenti che dicono a tutti “Tranquillo guagliù, ca a ttia ci penzo io”.
In sintesi, io mi sono convinto di questa sequenza: l’assalto brigantesco alla Fondazione è un fatto grave e inedito, ma è il prodotto dell’arroganza e del cinismo di Mario Occhiuto, il padrino fondatore, non da solo, l’intero sistema dei cosiddetti stakeholders (chiri ca cuntano), l’omertà delle istituzioni, il silenzio tombale della cosiddetta informazione (rotto solo da Iacchitè).
Quindi, se non ci si vuole prendere in giro, non basta pensare o scrivere a commento magari di un nostro articolo (siamo rimasti di fatto soli, deboli ma forti ad un tempo, a praticare il libero giornalismo a Cosenza e forse in tutta la Calabria) parole di fuoco contro i politici locali che – come ha ricordato l’esperto di strafottenza Mario Occhiuto – “delle parole che scrivi (o pubblichi) non se ne frega nessuno”.
Prometto che farò di tutto per deluderlo, ma non posso che dargli oggi in parte ragione. Ma su Occhiuto e altri torneremo presto.
Lo farò lontano da Cosenza non per timore – che non ho mai provato – ma perché ho il dovere dopo aver lasciato che dei farabutti rovinassero ancor di più la mia salute di salvare il salvabile nella pace della Maremma Toscana.
Ma spero vi accorgiate nelle prossime settimane che darò almeno fastidio ai “ladri di amore” che hanno fatto danni imperdonabili a me, ma soprattutto a decine di migliaia di nativi, specie giovani emigrati per lavoro con un prevalente e diffuso sentimento misto di dolore e rancore. Perdere le competenze, l’entusiasmo della propria terra diventato rancore non è solo un contributo alla desertificazione della Calabria, è un oltraggio cinico e violento che renderà l’allontanamento un ripudio permanente.
Poi c’è l’aspettativa, credo fondata, che ciò che non hanno fatto ancora i Tribunali, lo facciano altre istituzioni che sono state o saranno a breve interessate.