Agli italiani in genere, anche per la scelta dissennata di eliminare lo studio della geografia dai programmi scolastici, se chiedi con quali altri paesi sia confinante l’Italia, potete scommetterci che almeno uno su tre sparerà la cavolata di turno.
Ricordo che tra le prove di pazienza più pesanti che ho dovuto sostenere durante il più inutile servizio militare era il pranzo da consumare in comune tra noi ufficiali di complemento dell’Aeronautica e il comandante del Deposito di armi a Roma col. Frazzi.
Era convinto che Santa Maria di Leuca fosse un ridente paese calabrese. E pensando di fare un gesto di cortesia – che fossi calabrese lo aveva letto sul foglio matricolare – non perdeva occasione tirando in ballo il comune collocato in fondo al Salento, di celebrare i piatti calabresi che aveva gustato nella presunta Calabria, la bonomia degli abitanti supposti calabresi che parlavano con l’accento pugliese e via di questo passo. Non dico che appena ho potuto mi sono fatto trasferire al Ministero della Difesa per liberarmi dal tormentone del col. Frazzi di Milano, ma un qualche peso l’ha avuto perché non mi era consentito di correggere il comandante, che peraltro non mi amava perché aveva chiesto un sottotenente esperto di armamenti e s’era trovato con me che nell’unica volta che ho sparato, mentre ero ancora un allievo a Firenze, ho rischiato di ammazzare il capitano che guidava l’esercitazione.
Ora, a parte l’aneddotica, spiego perché la mancata conoscenza della geografia conferma la nostra atavica tendenza, specie dalle nostre parti, a non spingere la propria conoscenza, o semplice curiosità oltre il proprio “cortile” di casa.
La casa di cui parlo è spesso letteralmente la casa dove abito, se sono più ardito il paese o la città dove vivo, e se voglio spingermi lontano do uno sguardo a ciò che accade nel resto d’Italia.
Se pensate che il Ministero degli Esteri è stato assegnato a Giggino Di Maio in tempi in cui il mondo interconnesso e globalizzato decide del nostro benessere, della nostra salute, del clima che cambia e della metà delle merci che compriamo e vendiamo, c’è da farsi cadere le braccia.
Evidentemente il problema non è Di Maio, come lui e peggio di lui c’è la metà di deputati e senatori, ma il fatto che non abbiamo ancora maturato la convinzione che tutto ciò che accade fuori e lontano da noi decide quel che avviene nella nostra vita individuale e sociale.
Renderei perdonabile la cancellazione della geografia se a scuola si insegnasse la geopolitica, ciò di cui si parla continuamente nei talk televisivi a proposito di pandemia, di economia transnazionale, di guerre che si combattono a 1000 km da noi, di flussi migratori, praticamente di tutto.
Detto in modo più corretto, non è più tempo degli Stati o Nazione come fossero le monadi di Spinoza, ma di appartenenze a più entità nazionali o addirittura continentali.
L’esito della guerra in corso tra Ucraina e Russia determinerà la nostra sicurezza e determinerà nuove alleanze militari.
La transizione alle nuove energie per cercare di salvare un pianeta già messo molto male non è possibile senza concordare tempi e modi con quasi tutti i grandi paesi del mondo.
Stiamo scoprendo che oggi spesso in farmacia non troviamo medicinali di comune impiego perché alcune componenti vengono da paesi dell’estremo oriente asiatico che hanno sospeso la produzione per problemi interni.
E ancora, per finire un elenco che sarebbe lunghissimo, ciò che accade in Nigel e nel Sahel subsahariano deciderà il prezzo e la disponibilità di materiali essenziali per prodotti comuni come gli smartphone.
Ora non si può pretendere che tutti leggano Limes, il giornale di geopolitica diretto da Caracciolo, e comunque sarebbe infinitamente più utile e interessante delle riviste di gossip che gonfiano il portafogli degli editori, ma pensare che il municipalismo, il localismo esasperato, le formule magiche di Salvini che pensa di fermare un fenomeno irreversibile come le immigrazioni con una comparsata sulla Rete o la Meloni con l’idea fantasiosa del “bocco navale” per cui occorrerebbero in mare tutte le flotte dell’Unione Europea, siano da ripensare radicalmente così almeno aiuteremmo i giovani a immaginare in quale contesto sarà il proprio futuro.
Ma per governare la fase più rischiosa, complessa della storia del mondo e della condizione umana richiede una classe dirigente apicale internazionale di cui non c’è traccia.
Biden non è un leader ma è meno devastante di Trump, che spiegava ai gonzi che una sciacquatina alla bocca con una specie di disinfettante guariva dal Covid.
L’imbecillità degli inglesi che hanno votato per la Brexit si mangiano le mani e scoprono che non sono gli imbianchini polacchi il pericolo da cui difendersi.
Non ci sono esenzioni o giustificazioni per ignorare che il problema grosso esiste, non possiamo scegliere i peggiori e i mediocri che effettivamente creano meno fastidi ai detentori del potere ma in compenso sono inutili, incapaci di tutto, una zavorra che preclude ogni conoscenza o soluzione.
Forse è il caso che anche la Calabria capisca che dieci giovani intelligenti, alla ricerca di soluzioni possibili con lo studio e la ricerca ad alti livelli, senza pregiudizi ideologici o culturali dovremmo tenerceli cari, sostenerli, valorizzarli e non costringerli a andare via perché qui intralciano gli affari e le carriere di poche centinaia di incapaci e dannosi.