Un giornalista dovrebbe non farsi condizionare da pregiudizi, da emozioni fuori luogo, da luoghi comuni. Un inviato speciale, vero, dovrebbe avere una conoscenza generica dei luoghi dove deve recarsi, dovrebbe raccontare l’evento che è accaduto in quel luogo, partendo quasi da zero, cioè conoscere e giudicare fidandosi solo di se stesso, delle sue fonti, dei suoi riferimenti.
Facile a dirsi, ma farlo è cosa ben diversa. Pensate che possa oggi avere con la mia città lo stesso sentimento, la stessa empatia che mi ha accompagnato standone lontano per quasi tutta la vita?
Non è possibile e ciò che pesa di più e che è anche fondamentalmente ingiusto che la diffidenza o addirittura l’ostilità e il rancore non si limita ai soli che con parole e gesti hanno provocato una ferita ad una relazione sentimentale, quella che lega i luoghi cari è a tutti gli effetti una relazione sentimentale, affettiva, amorevole, ma finisce con l’estendersi a tutto, a tutta la città nel mio caso, una risposta ingiusta ma quasi inevitabile.
Se dovessi indicare quali danni o dolori mi hanno ferito in 4 anni
di permanenza a Cosenza metterei al primo posto la rottura o la precarietà del mio legame con la città natale.
Nei mesi scorsi ho scritto un whatsapp tra il serio e il faceto al Sindaco, uno dei responsabili di questo insolito stato d’animo.
Franz Caruso per provare la sua disponibilità nei miei confronti, ma non per ragioni personali, mi aveva rivelato il piccolo segreto per farmi rispondere da lui al telefono saltando la “fila” dei collaboratori. Era fasullo il segreto e fasulla la sua disponibilità.
Ma torniamo al messaggio che gli ho inviato, che diceva più o meno così: Gentile Sindaco, (caro Franz è andato in soffitta molti mesi fa), vorrei chiederle un piccolo favore. Poiché mi sono reso conto che Cosenza dove sono nato non mi vuole ed io per la verità me ne andrei subito volentieri, non sarebbe possibile falsificare il mio certificato di nascita? Non più nato a Cosenza, ma a Vipiteno. Perché la ridente cittadina altoatesina? Perché secondo i miei calcoli è la più lontana da Cosenza, ad un tiro di schioppo dalla tranquilla Austria.
Avrei potuto aggiungere che so bene che sarebbe un falso, ma a Cosenza e non solo di falsi se ne producono a migliaia ogni giorno.
È falsa la stima e l’amicizia – non sempre ma spesso – che viene professata con la mano sul cuore fino a quando la gente pensa che “si caduto in bascia fortuna”. A dire il vero mi sfugge quando sia nata la bascia e quando invece si sia manifestata la grande fortuna.
Non ho mai considerato i ruoli di lavoro – anche quando sembravano prestigiosi – il metro per misurare la buona o la cattiva sorte. Non è una virtù francescana, la definirei una carenza di realismo e cinismo.
Ma insomma il danno grosso che mi hanno fatto poche decine di cialtroni è di avermi pregiudicata la mia empatia a prova di tempo con Cosenza e i cosentini.
Fino a poche settimane orsono ero deciso a non tornare a Cosenza e restare a vivere tutto l’anno in Maremma, in una cittadina medievale bella e meta turistica molto apprezzata. Ed in effetti sono a Massa Marittima da quasi 8 mesi. Ho casa qui da oltre 30 anni, ma ho goduto di un “miracolo”. Massa Marittima ha fama anche tra i toscani di essere di gusti difficili per decidere se e come accoglierti. Aggiungo, ma solo per curiosità che su 8000 abitanti ci sono circa 2800 massoni. Una pinzellacchera rispetto alle 12 o 13 logge cosentine, quelle deviate comprese.
Il miracolo consiste in questo: che le persone amiche, disponibili, cordiali, accoglienti sono in proporzione 10 volte più numerose che a Cosenza.
Che qualcosa non vada bene nella decaduta Atene del Mezzogiorno o d’Italia – addirittura – mi pare evidente. Ma segnalo il fatto non come mio problema, ma come problema o scandalo della nostra città.
È noto che molti cosentini sono tacciati di eccesso di acidità, nel senso meglio: una perdita non grave per gli altri che una vincita per me. Per non urtare i suscettibili vi informo che questo vezzo gli stranieri, alcuni almeno, lo attribuiscono a tutti gli italiani. Quindi prendendo sul serio quest’accusa io quando ero presidente di una Fondazione che non mi ha mai dato una lira e neppure un “grazie” testamentario da parte del fondatore e poi una caterva di pettegolezzi e cattiverie – il meno che diceva di me la badante rumena, ammaliatrice di anziani danarosi (nel suo caso con un lascito di oltre un milione e mezzo) era che “arrubbavo di soldi a Sergio” che me lo riferiva subito aggiungendo “lasciala dire, tanto lo so che non è vero”. L’elenco è più lungo ma confesso che non sono capace di “arrubbare”.
Ora dite voi all’inviato speciale sceso fino a Cosenza – che il membro veneto del CdA traditore come i nativi non sapeva se la città era bagnata dal Tirreno o dallo Jonio – come faccio a tornare a Cosenza con il rischio alto di incocciare un manipolo di manigoldi, un altro manipolo di falsi amici, un paio di ex estimatori eccitati al punto da crearmi imbarazzo?
Ci proverò perché prima di arrendermi ai cialtroni e ai farisei bruzi le debbo provare tutte: la giustizia non mi convince proprio e penso che nella prima sentenza il giudice ha dato seguito a qualche strimpellatore di serenate, la violenza mi ripugna. Cosa mi resta? La memoria. Quella è caduca a comando. E poi seguo San Tommaso: “perdonare sempre, dimenticare mai”.
Riconosco che come inviato speciale senza pregiudizi, senza emozioni belle o brutte, come ho scritto all’inizio di questo “servizio” valgo veramente poco. Nella prossima vita cercherò di emendarmi o di non andare oltre il ruolo di pulitore, un nobile lavoro, ma credo al riparo di farabutti, invidiosi, falsi come un tallero bucato.