La domanda di chi osserva quanto accade o non accade da Napoli in giù è volutamente provocatoria: i calabresi, i siciliani, i lucani, i pugliesi sono stati informati – anche se leggono poco i giornali e in TV preferiscono sintonizzarsi su “Gli amici di Maria De Filippi” – che c’è una guerra alle nostre porte tra Ucraina e Russia? Sanno che in risposta ad un efferato attacco di Hamas ai partecipanti ad una festa di israeliani, a poche centinaia di metri dalla prigione a cielo aperto che da decenni ospita 2milioni e passa di palestinesi, si sta compiendo un genocidio che ad oggi conta 35mila morti di cui oltre 10mila bambini?
L’elenco delle cose che sconvolgono mezzo mondo è ben più lungo, ma bastano le due carneficine in atto per chiedersi e chiedere: che cavolo fanno, almeno i giovani, per manifestare pacificamente che loro non amano gli aggressori di Putin e non accettano che per salvare la carriera politica di un Netanyahu ed evitargli la galera si stermini un popolo già disgraziato di suo?
Non dico che occorra necessariamente occupare le Università, quasi tutte quelle americane, o scontrarsi con la polizia. Ma far sapere che il sud Italia ha una traccia di opinione pubblica reattiva e libera non è un reato, ma un dovere.
Non ho atteso questa stagione bellica per esprimere prima la sorpresa poi il biasimo per una società calabrese e cosentina àtona, passiva, invisibile, irrilevante anche e soprattutto tra i giovani delle università e delle scuole superiori.
Non si misura da quanti slogans e bandiere vengono esibite la libertà e la maturità di una società. Ma a patto che le idee circolino e non siano banali e timorose, a patto che dalle università in particolare escano giovani formati professionalmente e culturalmente ma anche con una coscienza civile, una cultura politica non localistica (che produrrebbe solo depressione incurabile), uno sguardo al mondo giacché oggi è lì l’orizzonte del nostro futuro, rischi e opportunità compresi.
Nel libro che uscirà tra poco più di un mese un ampio spazio l’ho riservato all’Unical, che ha certo un’offerta formativa in alcune discipline ottima, in altre mediocre come accade in molti altri Atenei. Ma l’Unical di oggi non ha nulla a che vedere con quella immaginata, voluta, creata dai suoi fondatori, il prof. Andreatta in particolare.
Da questo punto di vista, che non è marginale e considero più importante dell’intelligenza artificiale di cui l’attuale Rettore è superesperto – sempre meglio far crescere l’intelligenza biologica – l’Unical non merita le quattro stelle. Le classifiche che ogni anno vengono esibite da tutti i rettori sono significative, ma molto parziali. La disponibilità di spazi ampi e ben attrezzati, di una biblioteca ricca e si strutture sportive è importante ed incide molto su queste classifiche che non hanno il crisma dell’ufficialità. Ma partecipazione attiva e consapevole alla vita della comunità e alle vicende devastanti del nostro tempo anche lontane da noi è un valore aggiunto inestimabile.
La fuga del 30% dei giovani più qualificati non è una medaglia al merito ma è il segno di un fallimento, che ovviamente non è immutabile solo alle università e scuole superiori.
Lo spettacolo cha ho osservato nei tre anni di permanenza a Cosenza mi ha fatto conoscere una classe politica men che mediocre, priva della stiva dei cittadini e della considerazione dei vertici delle forze politiche nazionali. Una massoneria deviata onnipresente che cementa una cupola di potere oppressiva. Un’informazione inutile e in genere servile.
Non male per dare forza e credibilità alla Calabria. Un paio di giorni fa Massimo Giannini su La Repubblica segnalava che con l’autonomia di probabile prossima appropriazione la nostra regione che ha un PIL per il 41% inferiore a quello del nord Italia insieme con il resto del Mezzogiorno trasferirà 75 miliardi alle regioni più ricche del settentrione.
Rischiamo di passare dai pantaloni lisi a quelli bucati. C’è qualcuno che ne parla? Se non sono sordo mi pare nessuno.
L’Occhiuto bis governatore della regione è passato da un iniziale tiepida approvazione, garantendo che la conditio sine qua non era che fossero assicurati i livelli garantiti delle prestazioni pubbliche.
Poi ha cambiato opinione passando dal timido si ma ad un no che non ha fatto tremare le mura del potere nazionale.
Forse non si era accorto che non per colpa sua ma di un’ammucchiata di potere oscena la Calabria non ha voce in capitolo.
Se poi tutta la strategia dei fratelli Occhiuto consiste nella proposta della grande Cosenza come occasione per far fuori un sindaco che conta poco o niente siamo alle manovrine d’accatto che ci rendono ancora meno credibili.
Cosenza è divenuta “città ’ndranghetista” nella definizione corrente. Credo che sia meglio e più giusto definirla città deserto dei diritti, della mediocrità innalzata a valore essenziale, dell’illegalità istituzionale diffusa.
Accade cosi che il sen Occhiuto, messo al riparo da rischi giudiziari, possa sbertucciare chi uno straccio di opposizione a questo marciume almeno prova a farlo.
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una lucida analisi del clima di questa regione. la stragrande maggioranza dei cittadini calabresi sono, ormai da lungo tempo, SERVI VOLONTARI, non è necessario narcotizzarli, essi hanno scelto volontariamente di essere schiavi.
Purtroppo, come ben evidenziato, neanche le università sfuggono a questo clima feudale.