Le somiglio, vero? Ve la presento la mia nonna paterna, a cui devo una metà del mio nome (l’altra metà è a devozione della nonna materna).
Gli occhi e il disegno delle labbra sono un fin troppo facile richiamo alla identità della famiglia.
La Calabria già parla nel suo volto. Non vi dico nel sangue.
Mi ha trasmesso tutto.
Camminava per il paese risoluta e altera, vestita di nero.
Le calze erano nere, la gonna era nera, il corpetto era nero e lo scialle era pure nero.
Eppure brillava di una luce forte e dorata, al riparo della quale io mi sentivo felice e importante.
Mi portava a spasso per il paese e se chiedevano chi fossi, rispondeva orgogliosa: La figlia di “Filippo mio”.
Mia nonna abusava del pronome “mio”.
Seguiva ogni oggetto o persona che attraversavano la sua vita.
Possedeva il suo mondo.
Aveva 7 figli viventi. Così rispondeva. Due erano morti di mortalità infantile.
Ma lei non si scomponeva. Se li è presi il Signore, spiegava.
Il Signore per lei era Dio Gesù la Madonna e tutti i Santi. Era un accettare il destino senza piangersi addosso, onorando la vita e il lavoro, il marito e i figli.
I sacrifici erano una benedizione e una medaglia al petto, senza i quali la vita era insignificante.
In Calabria era così… a quei tempi.
Mi ha trasmesso anche questo.
Era pudica, rigognusa, ma non lesinava di raccontare quanto fosse bello il marito da giovane e quanto lo avesse amato per quegli occhi… Si infiammava. Era carnale. E mio nonno rideva. Annuiva.
Complici e amanti fino all’ultimo.
Accudiva figli e marito a tavola, senza riserve. Poi, dopo essersi presa cura di loro, si sedeva e gustava il suo pranzo. Guai a disturbarla. Era un momento sacro e indispensabile per la sua dignità.
Io osservavo quel suo comportamento e ne ero affascinata. Era così indipendente…
E lo sono anche io. Me lo ha trasmesso lei…
Mio padre la amò sempre, in un Edipo classico e risaputo, trasferendo su di me lo stesso sentimento, per la mia inevitabile somiglianza. Ma essere come lei… somigliarle, era una garanzia.
Mia nonna era bravissima a giocare a carte: scopa briscola tresette e vinceva.
La Calabria migliore scorreva in quel corpo. Intelligente. Ironica.
Quando andò a Cosenza per conoscere la nuora (mia madre), loro si aspettavano una contadina dell’entroterra calabrese.
Arrivò una signora con cappello e veletta e denti bianchissimi e trecce nere. Spiritosa. Incantò tutti.
Prima di morire mi fece dono di un pezzo del suo corredo, con dedica:
Ricordo della nonna Rosaria Pugliese (che era il suo cognome da ragazza). Io il femminismo l’ho appreso da lei.
Ora lei è necessaria per la mia vita. Il suo ricordo mi aiuta a vivere e ad essere forte e risoluta e coraggiosa e ardita e a non temere le sconfitte…
Così vuole il Signore, avrebbe detto… Grazie nonna Rosaria…
3 Comments
Favoloso racconto di vita!!!
Brava, un favoloso emozionante spaccato della nostra infanzia. Io spesso parlavo con nonno Domenico e lui orgoglioso ed emozionato mi raccontava della Prima guerra mondiale, lui, Cavaliere di Vittorio Veneto, l’ha fatta tutta ed io incantato lo respiravo!
Una descrizione ” veritiera” della dignità delle donne di un tempo.
Anche mia nonna Angiolina , che pur patì grandi tragedie, era una donna fiera : il suo passato doloroso era, ai miei occhi, un’ aureola che le accendeva i lineamenti perfetti.Mia nonna e mia madre: le grandi suggeritrici della mia vita!