Le prossime elezioni comunali di Vibo Valentia non passeranno in sordina e sono destinate a cambiare assetti ed equilibri dell’intera politica regionale.
E se a destra il vibonese Giuseppe Mangialavori si “gioca” il ruolo di coordinatore regionale di Forza Italia puntando tutto sulla riconferma della sindaca Maria Limardo, al centro il Terzo Polo, dopo il flop alle politiche, deve dimostrare la sua esistenza (con vari “big – azionisti”, leggasi Stefano Luciano, Francesco De Nisi & co., pronti a far le scarpe a Mangialavori).
E a sinistra? L’era di “Irto-landia” nel Pd, con una decantata finta unità regionale e una stuola di problemi politici da lasciare sotto il tappeto, deve affrontare la prova delle urne.
Proprio a Vibo Valentia si è tenuta lo scorso settembre la Festa regionale dell’Unità con tanto di comizio di Elly Schlein in cui affermava: “anche la Calabria ha diritto a costruirsi un futuro migliore!”.
A non aver un futuro migliore all’orizzonte, pare, però, essere proprio il Partito Democratico vibonese che si prepara all’ennesimo Harakiri politico per provare a “tutelare” il destino politico di pochi.
Una scelta “amarcord”
Rinnovamento e rottamazione non la fanno proprio da padrone nel Pd vibonese, deciso a candidare a Sindaco l’odontoiatra Vincenzo (Enzo) Romeo. Una figura non proprio di primo pelo nello scenario politico locale. Romeo, difatti, è stato il primo Presidente della Provincia di Vibo Valentia all’epoca dell’istituzione dell’ente Provincia. Correva l’anno 1995.
Nel 2000, concluso il suo mandato provinciale (gli fece seguito il democristiano Ottavio Bruni), il buon Romeo si candidò alle elezioni regionali con il centrodestra a favore di Giuseppe Chiaravalloti nella lista CDU, ottenendo 1107 preferenze personali.
Dal 2008 al 2010, invece, Romeo fu assessore comunale della Giunta guidata Franco Sammarco, subentrando alla moglie (la vera regista politica del marito), Assunta Franca Anna Achille. Questo “switch” familistico fece molto scalpore all’epoca, ma si replicò con la candidatura alle regionali della stessa “Lady Romeo” alle elezioni del 2010 (aggiunse il cognome del marito nella scheda), venendo candidata con la lista “Autonomia e diritti” di Agazio Loiero e ottenendo 294 preferenze personali (ma “reggendo” la lista a favore dell’eletto, Ottavio Bruni). Successivamente, Romeo è stato Presidente del Pd Provinciale e non ha lesinato pubbliche considerazioni “al miele” sul Pd di “Irto-Landia”.
Il suo nome, però, è inviso al M5S e a più di un “outsider” progressista, nonchè al consigliere regionale del Pd di Vibo Valentia, Raffaele Mammoliti. Lo stesso senatore Nicola Irto sta storcendo il naso e sarebbe propenso a non concedere il simbolo in caso di sfaldamento totale della coalizione progressista.
I 4 gatti del Pd di Vibo
Dopo la defezione dell’ex candidato sindaco (del 2019) Stefano Luciano e del suo gruppo, migrato tra le fila calendiane e dopo i vari dissidi tra segreteria comunale e provinciale, nel Pd cittadino a Vibo Valentia sono rimasti veramente in pochi. E chi rimane, sussurrano i maligni, cerca di salvaguardare rendite di posizione o il sogno di seggi consiliari (di minoranza).
Tra queste, due donne, entrambe vicine all’imprenditore vibonese Enzo Mirabello, la cui figlia, Chiara, è portaborse del segretario questore del Consiglio regionale, Ernesto Alecci.
Parliamo dell’avvocato Caterina De Luca detta Ketty, attuale presidente del Rotary Club di Vibo Valentia, già candidata alle elezioni comunali del 2019 con il Pd, nelle quali ha ottenuto circa 180 preferenze (non risultando eletta). Come “contentino” è stata nominata della commissione regionale per le Pari Opportunità, sempre in quota Pd/Alecci/Mirabello e ora mira al riscatto elettorale. A farcela nella precedente tornata, invece, è stata l’avvocato Laura Pugliese, subentrata come consigliera comunale a seguito dell’arresto (nell’ambito dell’inchiesta Rinascita-Scott, alla quale sono poi conseguite le dimissioni) dell’allora esponente Pd, Alfredo Lo Bianco.
Pugliese è stata inserita, sempre in quota Pd/Alecci/Mirabello, quale esperta (a titolo gratuito) all’interno dell’osservatorio regionale contro le discriminazioni nei luoghi di lavoro ed è anche vicesegretaria provinciale del PD. La sua fede dem, però, pare si sia incrinando. Più di un rumor sussurrano di un suo bussare alle porte del Terzo Polo.
E se il segretario provinciale Giovanni Di Bartolo non risulta pervenuto (con amministratori locali di area dem che ne hanno chiesto pubblicamente le dimissioni), a giocarsi il tutto e per tutto in queste elezioni sono l’uscente Stefano Soriano, figlio dell’ortopedico Michele Soriano, già candidato sindaco del centrosinistra nel 2010 e il segretario del circolo locale, Francesco Colelli, ex esponente di Sinistra Ecologia e Libertà (al suo quarto tentativo di elezione comunale), oggi “main sponsor” della candidatura Enzo Romeo.
Movimento 5 Flop
A vedere come fumo negli occhi la candidatura “amarcord” di Enzo Romeo è il M5S che trova come suo massimo riferimento il deputato Riccardo Tucci. I pentastellati vibonesi nel 2019 alle comunali ottennero come lista 1.125 voti e il 6% dei voti, mentre il loro candidato sindaco, l’architetto Domenico Santoro ottenne il 10,08% e 1900 croci sul suo nome.
Il “Gruppo Territoriale” del M5S guidato da un altro “vecchio arnese” della politica vibonese, Michele Furci, ha indicato proprio Santoro come nuovo candidato sindaco. Beh, non poteva essere altrimenti, essendo lo stesso Furci esperto di flop. Furci è stato candidato alle regionali del 2010 ottenendo 406 preferenze, mentre in precedenza fu candidato sindaco di Rifondazione Comunista nel 2002 (eletto consigliere, col 5,15%) e poi alle elezioni provinciali del 2004, ottenendo lo 0,7%.
Tornando a Santoro, in un’intervista a Il Quotidiano Del Sud ha dichiarato: “Credo di avere più diritto di altri, ho più esperienza, ho avuto più voti alle comunali del 2019 e il M5S ne ha presi più degli altri della coalizione alle ultime Politiche. Il dato di partenza è questo”, dimenticando, però, che alle ultime regionali sul suo nome nella città di Vibo Valentia ottenne solo poco più di 317 voti. Forse sarà quello il vero “dato di partenza”?
La “mossa del cavallo” di Tucci
Il deputato Tucci ha tirato fuori dal cilindro un nome di un candidato a Sindaco “civico” sicuramente attrattivo per un polo progressista (alternativo al “vecchio” Pd di Romeo) e si tratta del giornalista antimafia di LaC (Pubbliemme, Diemmecom ecc. Ecc.) Pietro Comito.
Su di lui potrebbe senz’altro convergere gli scontenti del Pd (vedi il consigliere regionale Raffaele Mammoliti); quella scatola vuota di “Umanesimo sociale” dell’ex pluricandidato regionale di centrosinistra Domenico Consoli; l’associazione “Valentia” del consigliere comunale Anthony Lo Bianco e il consigliere regionale del gruppo misto Antonio Lo Schiavo che tra i suoi portaborse ha Stefano Mandarano, collega di Comito in quanto anch’esso giornalista e dipendente di LaC.
Piccola parentesi: il gruppo LaC di Domenico Maduli, sempre attento a non dar adito a potenziali conflitto di interessi politico-giornalistici, rischia di trovarsi suo malgrado schierato alle comunali proprio nella “sua” città, mettendo a rischio quella tanto decantata imparzialità del network (nei fatti “fuffosa”, dato che i suoi anonimi direttori sono notoriamente vicini all’ex parlamentare Nino Foti e a Noi Moderati, essendo rimaste impresse le interviste “marchetta” a Maurizio Lupi durante le politiche).
In ogni caso, Comito è il nome che salverebbe il M5S da un possibile esodo di consensi.
Ma tra i grillini rimangono le onte di qualche “incongruenza”.
L’opposizione “fumè” e quel genero imputato in Rinascita-Scott
Alle elezioni provinciali del 2021 il M5S ha “toppato” sostenendo il consigliere comunale di “Vibo Democratica” Marco Miceli, il cui padre, Angelo Michele Miceli, noto esponente del Pd e già direttore sanitario dell’Asp vibonese, è stato rinviato a giudizio per concorso in abuso d’ufficio ed il suo nome compare nell’inchiesta della Dda “Maestrale” (pur non essendo indagato).
Ma a “scricchiolare” in questi anni è stata l’opposizione fumosa del capogruppo grillino in consiglio comunale, il già citato Domenico Santoro che, di recente, addirittura si è rifiutato di votare la sfiducia alla sindaca di Forza Italia Maria Limardo.
Santoro, inoltre, quando in aula si discuteva di pratiche inerenti il bilancio, abbandonava l’aula. Perchè? Perchè dallo scorso 31 dicembre, come da decreto sindacale 7/2022, a diventare dirigente del settore bilancio, per volontà della sindaca, è Claudia Santoro (“bell’ ‘e papà”), figlia del pentastellato.
La stessa, quindi, è risultata vincitrice di concorso da dirigente (prima era funzionaria con tanto di posizione organizzativa) proprio durante la consiliatura del padre.
Claudia “bell’ ‘e papà” è sposata con l’imprenditore Raffaele Lo Schiavo, imputato nel processo con rito ordinario “Rinascita-Scott”. Nei suoi confronti la Dda di Catanzaro guidata all’epoca da Nicola Gratteri ha chiesto la condanna a 1 anno e 6 mesi per turbativa d’asta.
Per la Dda di Catanzaro, Raffaele Lo Schiavo era un prestanome di Mario e Umberto Artusa, imputati nel medesimo processo con l’accusa, tra le altre, di associazione mafiosa (al clan Mancuso di Limbadi).
Non so cosa potrebbero dirne i parlamentari Roberto Scarpinato e Cafiero De Raho, ma siamo sicuri che per le comunali i pentastellati debbano ri-partire da Santoro?