Le cose importanti, che interessano la credibilità e l’immagine del nostro Paese, delle sue istituzioni, compresa la Giustizia, avvengono quasi sempre perché i Servizi segreti, che sono i veri tutori della nostra sicurezza in senso lato, lo vogliono, lo ritengono necessario. Fuori da questo contesto rimangono le questioni di basso rango, importanti per le persone coinvolte ma non rilevanti per l’interesse superiore e generale.
Non sono un esperto del settore, ma sicuramente rientro tra coloro che per il proprio ruolo professionale e in taluni casi per specifiche ragioni personali sono stati attenzionati, passati ai raggi X, verificati per il tasso di legalità, onestà, non ricattabilità. Non è un merito né una colpa, è solo un fatto. E non escludo che anche l’assalto brigantesco ad un ente del Terzo settore come la Fondazione e quanto ne è seguito, ispiratori o attuatori compresi, possa essere stato oggetto di attenzione. Ma qui mi fermo perché non sono un esperto e se lo fossi non lo scriverei.
Ma ho più di un precedente di cui sono informato e che ho capito con colpevole ritardo. Ne scrivo oggi a distanza di oltre 30 anni perché la storiaccia cosentina – nota e meno nota – me l’ha riportata a mente. In fondo se I Nuovi Calabresi si rivolgono in prevalenza a persone di questa terra, ad esempio Lodovico Ligato, al tempo Presidente delle Ferrovie italiane appena riformate, questo ricordo non è fuori tema. Penso che non lo sia affatto neppure nell’assalto inedito ad Ente no profit, legato da un “patto di sussidiarietà” con il Comune di Cosenza (NdR sussidiarietà significa che Privato e Pubblico si impegnano ad una leale collaborazione per il raggiungimento di interessi generali). Tradotto: io Giuliani presidente della Fondazione, per il bene della città, mi impegno ad acquistare e restituire al patrimonio architettonico e culturale Villa Rendano e tu, Sindaco della città, nel caso di specie Mario Occhiuto e ora anche Franz Caruso, almeno una cosa non la dovete fare: fottermi e scassinare la mia Fondazione e mandare in vacca tutto ciò che di buono ha realizzato.
Penso di essere stato chiaro e quindi i cosentini – specie quelli che fanno “i beoti” – forse capiscono ciò che ho detto nella videoregistrazione. C’è un ma: il codice del Terzo settore elenca con chiarezza ciò che deve essere fatto, ma non dice cosa succede al partner, in questo caso il Comune di Cosenza, che da alleato e beneficiario si trasforma per interposte persone – primo tra tutti Walter Pellegrini e al seguito complici, omertosi, distratti, ecc… – in killer demolitore. Questo mi ha fatto dire che con la sentenza tanto attesa non finisce comunque la possibilità di perseguire i responsabili per varie ipotesi di reati in sede civile e penale. È quello che accadrà – se ci saranno le condizioni – e il compito di fare in modo che accadano sarà soprattutto dei nuovi amministratori, ai quali in teoria avrei la facoltà di fare proposte e dettare prescrizioni.
Ora veniamo ad un caso in cui di sicuro c’è stata più volte la manina legittima dei Servizi, come usa chiamarli.
Come al solito l’ho capito con molto ritardo (mi è capitato anche per Cosenza).
Al tempo in cui le FS erano presiedute da Ligato e da un CdA di nominati da tutti i partiti tranne il MSI (bisognerebbe ricordarlo da parte delle anime candide “antifasciste” come si proclamano) il ruolo di Capo della Comunicazione che era da me occupato a seguito di concorso pubblico, che fino alla riforma ferroviaria contava poco o niente (un’altra somiglianza con la Fondazione) divenne dopo molto appetibile. Il candidato a succedermi era il giornalista RAI Gino Nebbiolo estasiato seguace di Licio Gelli. Ligato non era d’accordo e di fatto senza darlo a vedere voleva che restassi, almeno per un primo tempo, al mio posto. Chiarisco che il tifo per il piduista lo facevano in CdA tutti, socialisti miei amici da anni, comunisti, ecc… ecc…, e furono costoro che in attesa del mio declassamento – del tutto immotivato come l’estromissione dalla Presidenza della Fondazione (motivazione reale: picchì a nua o mia ci/mi piacia) – ebbero una bella pensata e si domandarono: “perché un solo Capo della Comunicazione – irrilevante che fosse un piduista militante -? Nominiamone altri 11, uno per ciascuno dei membri del Cda!”
Era troppo e un giorno apro il giornale la Stampa e in prima pagina leggo un articolo firmato dalla giornalista più prestigiosa della testata, Lia Tornabuoni: il titolo era se non sbaglio “A ciascuno il suo”.
Confesso che non ne sapevo niente ed anzi la mia segreteria sapeva che neanche avevo voluto rispondere ad una telefonata della giornalista (non perché ne conoscessi il motivo ma perché ho sempre pensato che conviene parlare se conosci il motivo per il quale ti viene richiesto). Naturalmente nessuno credette che non fossi io l’ispiratore della Tornabuoni. Sapevo solo che era una brava, tosta e autorevolissima. Ma la curiosità di sapere chi avesse fatto la soffiata la ebbi e pensai subito ad un caro amico, direttore di più testate, TM che naturalmente negò. Fine della storia? No. Sparì dal tavolo la bizzarra idea di imitare l’Ultima cena con 12 apostoli. Passarono altri mesi, ma di quel che accadde durante e dopo non mi pare il caso di scrivere oggi.
Solo a molta distanza di tempo capii la verità: era vero che TM aveva fatto uscire la notizia, ma non lo fece per farmi un discutibile piacere, bensì perché da ex collaboratore dell’8^ Armata inglese durante la guerra era in qualche modo entrato nei ranghi del Controspionaggio. Lui era stato l’autore della soffiata ma lo fu – ne sono convinto – per volontà dei Servizi. Furono loro che fecero fallire quella ridicola idea e poi furono sempre loro – e di questo penso di potermi dire certo – che fecero abortire definitivamente la manovra piduista con l’insediamento di Nebbiolo.
Cosa intendo dire: quando si superano i limiti della decenza – ad esempio come nel caso di Villa Rendano – non è raro che intervengano i Servizi. Sono sicuro che accadrà con la Santadechè, certo non nel caso di Villa Rendano che è solo una fetecchia per la quale i Servizi non si muovono, ma è possibile che ne conservino memoria per future esigenze non per o contro un nanerottolo come il sottoscritto o il mio ancor più irrilevante omonimo e clandestino insediato alla presidenza.
Non dico che accetto scommesse perché non amo giocare, ma sono abbastanza convinto che non l’omonimo, ma qualche occulto sostenitore sarà – come usa dire – attenzionato.