“La verità – dice il filosofo inglese Russell – appartiene agli dèi, mentre per gli uomini questa resta un ideale a cui è possibile avvicinarsi ma che non è possibile raggiungere”.
Mi sono ricordato di queste parole, perché per i casi della vita e un po’ per la mia voglia di capire o provare a capire, da più di due anni sono caduto in una trappola, che mi era stata preparata con cinismo e cattiveria da falsi amici e poi coperta e difesa con un silenzio tombale, che non è raro soprattutto in una società come quella calabrese timorosa e inerte.
La trappola non è il fatto in sé, essere stato vittima di una congiura per allontanarmi dalla guida della Fondazione Giuliani con tutto quello che ne è seguito.
È stata piuttosto l’interpretazione sbagliata, lontana forse dalla verità, che ho dato di quell’evento. L’ho inteso come un’azione illecita e riprovevole sul piano morale e infatti ho usato termini etici, buona fede, tradimento, ed altri e poi solo con fatica sono passato a quelli in uso nei tribunali e negli atti degli avvocati.
In sintesi ho creduto che la congiura – questo è il termine esatto – fosse stata “commissionata” dai poteri occulti che genericamente chiamiamo massomafia, con i suoi adepti o complici.
Poi cominciarono a arrivare alcuni “messaggi”, niente di autorevole, ma certo in parte voluti: sostanzialmente dicevano “quello che accaduto nasce all’interno non viene dall’esterno”.
Si ribaltava quindi la mia presunta verità, ma era troppo poco per rinnegarla del tutto.
Insomma per me restava valida la pista che portava al tradimento di quattro manigoldi e la comparsa di Mario Occhiuto sembrava confermare che dentro e fuori potessero convivere.
Poi non la verità assoluta, ma ipotetica e possibile è emersa, o almeno ho iniziato a intuirla. Non era stata la conquista piratesca di un ente no profit la priorità, ma la chiusura immotivata del giornale ICalabresi, che negava l’evidenza di un successo editoriale ed anzi veniva definito dal boss Walter Pellegrini “un danno alla Fondazione”. E questa affermazione grottesca è stata riproposta in due diversi processi civili e non avendo elementi a supporto è stata costruita una narrazione radicalmente falsa, con dati inventati, accuse reiterate di aver violato la legge e tutto il ciarpame possibile. In un caso un giudice ci ha creduto e con un’ordinanza del tutto sballata di fatto aveva chiuso il processo ovviamente a mio danno.
La notizia è stata sbandierata sul clone mal riuscito de ICalabresi nelle mani di 4 miei collaboratori e colleghi e ovviamente è stata accolta con compiacimento dalle truppe cammellate dei cosentini pavidi.
Poi però si è aperto un lumicino che tirava in ballo lo stesso procuratore Gratteri, certo non nella veste di partecipe da uomo di legge ad un’azione del tutto illegittima. Ma cancellando dalla sera alla mattina un appuntamento chiesto da me per rispetto istituzionale, perché ICalabresi nasceva nel segno della difesa della legalità, Gratteri mostrava un cambio drastico, non di amicizia che non c’era, ma di normale cortesia.
Poi, sempre seguendo le tracce di Pollicino, mi ricordo che avevo ritirato il progetto di un mensile cartaceo di cui Antonio Nicaso era stato designato come direttore. Il rapporto a distanza, lui a Toronto, io con Walter suo amico a Cosenza, non era stato felice perché Nicaso non apprezzava che io, che di giornali mi sono occupato per 30 anni, esprimessi qualche riserva e all’occorrenza qualche proposta migliorativa. Ma non per questo il numero 0, quello di prova, fu respinto. Era a parere mio, ma non di Walter Pellegrini, un cattivo prodotto che sarebbe costato 200mila euro per 6000 copie annue distribuite.
Nicaso, legittimamente rammaricato, ricevette gli emolumenti previsti in contratto ma poi presentò ricorso al giudice del lavoro chiedendo altri 90.000 euro sulla base di motivazioni più che inconsistenti. L’avv. Mungari fu incaricato di opporsi e presentò una memoria, non scritta da lui, che definire grottesca è farle un complimento. Scrissi io una buona parte del documento e per la prima volta rifiutai di pagare un atto di scuola elementare circa 7000 euro come anticipo.
Saltiamo a piè pari alcuni mesi e arriviamo al giorno che vengo a sapere che la “nuova Fondazione” aveva chiuso il processo che sarebbe stato stravinto persino nel Tribunale di Cosenza con un concordato che non è reso pubblico. Ne scrissi su I Nuovi Calabresi e la sera stessa mi telefonò Nicaso per dirmi che quel concordato non aveva previsto passaggio di denaro. Pur con qualche perplessità – un accordo ha sempre un contenuto di scambio – pubblicai la smentita di Nicaso.
Ma poi la vera e propria guerra giudiziaria rilanciata su I Nuovi Calabresi, che continuava ad essere accompagnata dal silenzio generale, mi sembrò anomala e anche il silenzio di molti, Gratteri compreso, mi sembrò un modo di dire e far capire da che parte stava in una vicenda che mostrava con processi e denunce che il “l’assalto al palazzo” Villa Rendano era stato compiuto con la violazione di diversi articoli del Codice penale da sottoporre al vaglio della Procura della Repubblica di Roma. E in questo caso il Magistrato integerrimo Gratteri qualcosa doveva sapere e qualcosa doveva dire per non consentire che il suo silenzio fosse utile ad un tentativo sempre più evidente di strumentalizzare la nota e legittima amicizia con W. Pellegrini e soprattutto con Nicaso, coautore di tutti i saggi sulla mafia di Gratteri.
Cosa potrebbe significare tutto questo? Che la ragione dell’assalto alla Fondazione non era l’obiettivo primario, che tra l’altro consentiva di farla finita con un giornale scomodo perché libero, ma era proprio la chiusura il 19 luglio 2022 de ICalabresi, neanche comunicatami pur essendo il Direttore responsabile e solo l’11 agosto informato con una “lettera di licenziamento” che richiedeva la restituzione di 1200 euro dei 5000 lordi annui necessari per poter essere assicurato.
Perché questo ribaltamento di interpretazione? Walter Pellegrini – risulta nei verbali e in demenziali PEC inviatemi (da sole basterebbero a portarlo in giudizio) – non poteva accettare che il giornale di Nicaso fosse stato “bocciato”, perché a suo parere questo era uno sgarbo grave al Procuratore Gratteri – che sul fatto non si era pronunciato anche se comprensibilmente non ne era stato contento – e nella mente del boss omonimo chiudere ICalabresi era il solo modo di riparare al torto, tale solo nella sua mente, fatto a Nicaso, al quale non riteneva bastasse un concordato che chiudeva un processo ricco di fantasia (che sarebbe stato senza un contenuto, su cui “concordare”, una bizzarria anche per la giustizia italiana) ma soprattutto, sempre nella mente del Pellegrini boss, non garantiva la tenuta della preziosa amicizia tra lui e il super Procuratore, legittima ma sbandierata anche inopportunamente.
Per assurdo, ripeto per assurdo, la Fondazione e Villa Rendano sono state ferite a morte, sono state violate leggi e valori etici, Cosenza ha riperduto Villa Rendano come prima dell’acquisto da parte di Giuliani e anche l’onore, se si può dire cosi, è stata ignorata l’obbligazione che mi era stata data con una donazione modale “devi assicurare la guida della Fondazione fino a quando le condizioni psicofisiche te le consentiranno” che è ancora valida e che essendo l’elemento di garanzia che Sergio fin dall’inizio considerava essenziale, temendo che con la sua e la mia scomparsa finisse anche la Fondazione, lo ha indotto a nominare erede universale la Fondazione in sede testamentaria. Da qui la legittimità di chiedere al Giudice l’annullamento o la nullità assoluta del Testamento che ha perduto, con la mia espulsione, la sua legittimità e il rispetto della volontà di ultima istanza di Sergio.
E notoriamente i morti non possono denunciare chi ha fatto tutto questo ma posso, anzi debbo farlo io, perché l’obbligazione che ho accettato è ancora valida e non decade per mano di quattro cialtroni e ignoranti in mala fede.
Ne vedremo delle belle (si fa per dire) e immagino che anche il dottor Gratteri, che di diritto e di leggi se ne intende eccome, potrà fare qualche riflessione e chiedersi se l’amico Walter Pellegrini non l’abbia strumentalizzato per farsene scudo.