Questa “storia” nasce a Cosenza e finisce a Roma, in Tribunale civile e penale e anche, vedremo perché, nel palazzo della Regione.
La storia, che dovremmo chiamare più correttamente “storiaccia” inizia a fine maggio del 2022 quando il CdA di una Fondazione privata, fondata da Sergio Giuliani, figlio di due imprenditori apprezzati Attilio e Elena Giuliani che danno il nome all’ente non profit, composto da quattro persone nominate dal Presidente del tempo Franco Pellegrini sulla base di rapporti amicali e professionali ultradecennali – senza neppure preoccuparsi di trovare una motivazione credibile – decidono che la Fondazione la vogliono loro e quindi fanno fuori Pellegrini, che prima di essere nominato presidente era stato colui che aveva realizzato la Fondazione e curato il restauro e l’allestimento di Villa Rendano, acquistata su insistenza del Sindaco di Cosenza nel 2012.
Villa Rendano, da sola costata 4 milioni di euro su un totale di 13 milioni, era diventata in pochi anni un polo culturale e un museo multimediale, al tempo il più grande d’Italia, riconosciuto dal Ministero della Cultura tra i musei di interesse nazionale. In più, sempre per iniziativa di Pellegrini, era nato il primo giornale libero di inchiesta on line: ICalabresi, che in un anno aveva raggiunto numeri di lettori sparsi in Italia e in Europa imprevedibili e ovviamente un incremento patrimoniale da 0 a 250.000 euro in crescita.
Ma ai pirati non basta aver in mano la Fondazione – che pure è un evento senza precedenti – ma vogliono chiudere il giornale i cui articoli erano ripresi da alcune testate nazionali.
Dal 2012 dunque parte la congiura del silenzio tombale in Calabria e il disinteresse per la doppia “rapina”, fondazione e giornale, definito dal capo dei congiurati, omonimo dell’ex Presidente, un “danno per la Fondazione”.
Un’affermazione che lascia basiti, ma nel tempo il danno si capisce che nasce dal fatto che un progetto di un mensile cartaceo, inguardabile con 6000 copie di diffusione annua – ma un budget di 200 mila euro -, affidato ad Antonio Nicaso, amico d’infanzia e coautore dei libri sfornati a getto continuo dal superprocuratore Nicola Gratteri, idolatrato come un’icona da molti e da altrettanti considerato un “manettaro” era stato bocciato dal Pellegrini e da mezzo CdA. Una ferita sanguinante per l’omonimo neo presidente che teme il giudizio severo di Gratteri, il quale non parla ma mantiene un silenzio che sa tanto di delusione e rammarico.
Ma arriviamo a Roma, tappa finale, probabilmente della storia cosentina. Cosenza e Roma, è più corretto dire tutt’Italia hanno in comune il silenzio e l’indifferenza per questa vicenda. A Cosenza il silenzio è di tipo omertoso, a Roma e non solo è figlio del fatto che ripetono in tanti “della Calabria non frega niente a nessuno”. Ma aggiunge qualcosa di più ai tribunali, perché il defenestrato Pellegrini oltre che essere un giornalista e un comunicatore che si è fatto apprezzare ed è diventato avvocato per amore del diritto appena lasciato le FS affidate al distruttore seriale Giancarlo Cimoli.
Cosa c’entra la regione Lazio? C’entra perché il controllo degli enti del Terzo settore è delegato dal Ministero del Lavoro alle singole Regioni. E quindi Pellegrini che si è accorto che uno dei congiurati avvocato consulente della Fondazione si è creato un clone dell’Organo di controllo che è obbligatorio e richiede che chi ne fa parte sia estraneo all’ente no profit, pena la decadenza per incompatibilità insanabile (art 2399 CC), presenta a ottobre dello scorso anno un esposto che non lascia dubbi. Mungari è incompatibile, quindi deve decadere portandosi appresso tutto il cucuzzaro del CdA: ad onor del vero il Direttore generale del Ministero del lavoro è stato chiaro scrivendo alla sua omologa della Regione Lazio: “deve essere fatto un severo controllo di merito dell’esposto e poi trarne le conclusioni.” Ma la dirigente regionale e una funzionaria dipendente dalla Giunta, non dall’Amministrazione, fa finta di non aver capito e si limitano a fare un inutile “controllo delle carte”. Il risultato è che pur consapevoli che il Pellegrini avvocato gli sta addosso l’esposto viene bocciato.
È una sorpresa che puzza di imbroglio. E infatti per puro caso la commercialista maremmana che lo assiste scopre un Atto notorio firmato Santo Mungari il quale, dopo aver ricordato cose note e stranote – chi e quando l’ha nominato Organo clone di quello obbligatorio – dichiara sotto la sua responsabilità, immagino facendo il segno dei lupetti, che lui non ha niente a che fare con il Codice civile e quindi puro come un giglio può restare a fare quello che non gli è consentito. Mungari non è uno sprovveduto, naviga nelle acque torbide del sottogoverno da Zingaretti a Rocca, se ha scritto e firmato a maggio di quest’anno questa bufala l’ha fatto perché forse gliel’hanno chiesto le due funzionarie regionali pensando così di fare una porcata ma senza rischi giudiziari. Se è vera questa interpretazione resta il fatto che Mungari oltre che incompatibile ha commesso un paio e più di reati, falso ideologico e materiale, truffa, ecc… e le due signore regionali hanno aggravato la loro posizione lasciando che la palla giunga al Presidente Rocca e al Ministro del Lavoro. Ci sarebbero un po’ di violazioni di articoli del Codice del Terzo settore ma è ancora in rodaggio – sette anni – e quindi diamolo per sconosciuto.