Come era già noto, ma volutamente ignorato, la situazione economica e sociale nel nostro Paese è non difficile, ma ai limiti del disastro.
Paghiamo errori, sottovalutazioni, folate di populismo a destra e a sinistra, produzione seriale di false promesse, ecc… ecc…
Non voglio scriverne in generale e in astratto ma pensando in particolare alla nostra Calabria, che è da tempo l’ultima carrozza, con le ruote quadrate e di legno, del convoglio a cui sono agganciate le carrozze di tutte le regioni, quelle virtuose e più ricche, che hanno smesso di accettare di andare alla velocità ridotta cui la costringe la nostra regione.
Per provare ad uscire da questa condizione occorrono vari fattori, il più importante è “il tempo a disposizione”, che nel nostro caso è ormai quasi esaurito.
Non sono originale, ma li enumero. Innanzi tutto una classe dirigente politica, amministrativa, imprenditoriale degna di questo nome. Neanche in uno stato di ebbrezza alcolica potremmo dire che quella che è in Calabria – e come non bastasse, infiltrata massicciamente dalla massomafia – è classe dirigente almeno decente.
È colpa dei calabresi? Sì in gran parte, perché ne pensano tutto il male possibile, ma poi non osano aprire bocca per farlo sapere in giro, dentro e fuori questa terra disgraziata, li votano pure, li corteggiano perché non si sa mai se possono sistemare i figli e i nipoti, i più sofisticati anche le amanti modello extralarge Boccia.
Non hanno capito nulla: oggi il mercato delle vacche è terribilmente ridotto e c’è spazio solo per chi, per vincoli di parentela, fa parte del “circolo” dei fortunati.
Lo hanno invece capito i giovani, almeno quelli più svegli e preparati, che da anni fuggono dalla Calabria e a differenza dei precedenti emigranti a tornare non ci pensano proprio.
Quando la prof.ssa Sonia Ferrari dell’Unical ci parlò della sua ricerca sul “turismo di ritorno”, poi divenuto un libro, pensai che l’idea fosse apprezzabile, peccato che di ritorno ce n’è poco o niente.
Io stesso che non sono un saggista noto – manco a dire, soprattutto nella mia città natale – ma non fesso, scrissi un libro, manco a dirlo rimasto clandestino da queste parti, che si titolava “Solo andata”.
E cosa manca ancora in Calabria per non passare dall’emarginazione all’estinzione? In primo luogo la voglia di essere liberi e di godere di tutti i diritti che alla meno peggio sono riconosciuti dalla Costituzione.
Mi spiace, ricordo che l’Associazione civica “E venne il giorno della Calabria” che aveva niente meno come riferimento la nostra Carta costituzionale – notoriamente un testo sovversivo! – ha avuto 5 (dico cinque) iscritti, neanche incoraggiati dal fatto che non si chiedesse neppure un euro. Un lettore cretino, ne esistono purtroppo sulla rete, quando ho accennato che pensavo di rendere più forte I Nuovi Calabresi chiedendo un piccolo e non obbligatorio contributo, il suddetto cretino, ripeto, ha scritto “Sempre soldi chiedi”. Mai fatto dopo l’esperienza fallimentare de ICalabresi che personalmente avevo accettato con molte riserve.
Cosa dedurne? Che alla stragrande maggioranza dei calabresi della fine annunciata o, se volete, della desertificazione prevista nel 2050 non frega nulla. Molto perché non sa, non legge (in questo hanno ragione perché i cosiddetti giornali locali, 73 in teoria, sono fatti apposta per nascondere e non promuovere l’informazione).
Poi c’è sempre il vecchio vizio, anzi il duplice vizio, di dare la colpa agli altri se siamo ridotti così – ci spingiamo sino all’800 per rimpiangere o colpevolizzare i “Borboni” o per prendercela con i Piemontesi che ci hanno rotto i cabbasisi con la fisima dell’Unità d’Italia senza che nessuno glielo chiedesse.
E sul presente diamo la colpa ai “polentoni” che con l’autonomia differenziata effettivamente mettono la Calabria e il Sud nella condizione di doversele guadagnare le risorse pubbliche, smettendola di sprecarle per piccole mance, ma numerose per parenti, clienti e serventi. Smettendolo di pensare di lanciare l’immagine della Calabria, sprecando milioni per gli asini e le coppole di Muccino o per la chioma al vento in cabriolet della signora Gregoraci. Neanche in questo sono capaci di fare scelte giuste.
Debbo autocitarmi. Al tempo della sua Sindacatura, la Catizone pensò di far fare un racconto positivo di Cosenza ad un bravo giornalista, un galantuomo. Parlò dello scomparso Carlo Gregoretti, che era il direttore delle Relazioni esterne e della Comunicazione delle FS, ma in tandem con me.
Carlo si meravigliò molto che avessero scelto lui, sicuramente bravo e stimato, ma che non conosceva affatto Cosenza. Me ne parlò ed io gli detti le indicazioni che possedevo. Finì naturalmente in vacca, anche perché il più bravo giornalista non è capace di fare lo storytelling di un luogo o di un evento che è mestiere di altri professionisti come l’amico milanese Giuliano Corti, che ha lavorato per tutti i “percorsi” di Consentia Itinera a Villa Rendano e ha scritto con me il libro che arranca in Calabria, ma sembra andare più che bene lontano da essa.
Ora torniamo al tema con un altro vizio che pagheremo caro. È quello di affidare ad altri, subito eletti a idoli senza macchia e senza paura, il compito di fare, nel caso specifico, per difendere la legalità che forse s’è nascosta tra i pini della Sila.
Quale idolo migliore di Nicola Gratteri! È sicuramente un Procuratore che ha fatto molto e di solito bene la guerra contro le mafie. Ma vale anche per lui il fatto che non può essere il “salvatore della Patria” mentre i salvati o i salvabili si fanno i fatti propri e se incontrano uno che è mafioso certificato lo salutano e lo ossequiano, immagino aggiungendo “sempre a disposizione di vussia”.
Sui I Nuovi Calabresi ho dedicato ben tre articoli al dott. Gratteri dandogli atto del suo impegno prezioso (ma forse troppo esibito con libri autopromozionali scritti con l’amico Nicaso) ma anche non tacendo che, con il suo silenzio ha mostrato per la porcata fatta dal suo amico Walter Pellegrini, che si è tradotta in diversi e gravi illeciti civili e penali, ha voluto fare sapere da che parte stava. Legittimo se Gratteri fosse un privato cittadino, molto meno se è un magistrato inquirente che ha la possibilità di sapere chi ha fatto cosa, perché, per motivi validi o solo per fare il primo attore con le spalle coperte da tale Mario Occhiuto e molto più autorevolmente appunto da Nicola Gratteri.
Se le falsità, i reati commessi, le azioni criminose a danno, per esempio, di due brave e preziose collaboratrici, in particolare Anna Cipparrone, a cui si deve gran parte dei successi anche economici della Fondazione Giuliani le ho potute documentare io (che non ho avuto accesso, come mio diritto, ai documenti depositati a Villa Rendano) pensate che non avrebbe potuto o dovuto farlo un Procuratore superstar come Gratteri?
Specifico che la mia domanda è puramente retorica.
2 Comments
Questi calabresi che votano sempre i peggiori che si intrallazzano con i più vomitevoli per avere qualcosa in cambio e che poi devono pagare fino a fine vita loro e dei loro figli ma non siete ancora stanchi di togliervi il cappello davanti a questi criminali che non vi regalano niente ma vi sfruttano peggio dei migranti????
Analisi sacrosanta…🥲😥😪