In Forza Italia avere parentele o legami “chiacchierati” probabilmente non desta alcun tipo di sussulto, soprattutto in Calabria. Lo dimostra, ad esempio, il silenzio che c’è stato, anche mediaticamente, a seguito del deposito, lo scorso 1° marzo, delle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria a seguito del processo di secondo grado “‘Ndrangheta stragista”.
Nel provvedimento si legge che: “Con tutta evidenza Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta si interessarono al nuovo partito di Forza Italia, per come dichiarato da numerosi collaboratori”.
Il collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese, ex ‘picciotto onorato” della ‘ndrangheta di Rizziconi, sentito nel processo, ha parlato di «una fase di sostegno a Forza Italia» da parte della ‘ndrangheta, di cui si sarebbe parlato «dopo “Mani pulite”». «Dopo il crollo di Craxi la ‘ndrangheta cercava un nuovo referente politico e lo individuarono nella persona di Berlusconi. In Calabria il sostegno e la raccolta di voti sono stati curati dalla ‘ndrangheta» si legge nel verbale.
Inoltre, il pentito, in questa sua storica audizione del dicembre 2022, ha anche raccontato che alcuni ristoranti e alberghi del Vibonese – l’ex Hotel 501 di Vibo e il Sayonara di Nicotera – erano di fatto a disposizione della ‘Ndrangheta, che ne utilizzava le strutture per riunirsi “senza essere registrati, oppure per far celebrare i matrimoni tra i rampolli delle più importanti ‘famiglie’ della ‘ndrangheta calabrese”. Proprio in quei luoghi, secondo Bruzzese, si sarebbero recati Bettino Craxi e Silvio Berlusconi in occasione di un incontro con il boss Peppe Piromalli di Gioia Tauro, risalente alla fine degli anni ‘70.
“Sto leggendo sul Fatto quotidiano un articolo sulla trattativa Stato-mafia, Berlusconi è fottuto, Berlusconi è fottuto. Io lo so perché Dell’Utri la prima persona che contattò per la costituzione di Forza Italia fu Giuseppe Piromalli e, nel Vibonese, Luigi Mancuso di Limbadi, che è più giovane e forse più potente. Io li difendo da 37 anni” disse in una intercettazione, confluita in quel processo, l’ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli, condannato l’anno scorso in primo grado ad 11 anni per concorso esterno in associazione mafiosa dal Tribunale di Vibo Valentia nell’ambito del processo “Rinascita-Scott”.
Tutta roba da far “rizzari i carni” tanto alle persone comuni, quanto ai politici (soprattutto ai fior fior di statisti locali che sotto elezioni tendono a fioccare), quanto ai media (inclusi quelli delle trasmissioni patinate “ad hoc” e con le redazioni da Grande Fratello). Invece, il silenzio. E non solo su questo.
L’ascesa dei due cognati-capigruppo azzurri
Ma oggi chi sono gli astri che brillano nel firmamento forzista in Calabria? Il deputato Gianni Arruzzolo di Rosarno e il capogruppo in Consiglio regionale Michele Comito, noto cardiologo di Vibo Valentia. Per chi non li conoscesse: il primo è stato consigliere e assessore comunale a Rosarno, nonchè consigliere e assessore provinciale a Reggio Calabria, ma è stato anche portaborse dell’assessore regionale ai Trasporti della giunta Loiero, Pasquale Tripodi (quest’ultimo condannato dalla Cassazione ad un anno, con pena sospesa, per indebita percezione di erogazioni pubbliche, avendo ricevuto rimborsi che non gli spettavano tra il 2 luglio 2007 e il 3 dicembre 2008, periodo in cui Arruzzolo gli faceva da portaborse). Da lì, Gianni Arruzzolo è diventato consigliere regionale e presidente del Consiglio regionale nel 2020 e poi capogruppo di Forza Italia alla Regione nel 2021, per poi planare in Parlamento l’anno successivo.
Il secondo, Michele Comito, è stato invece consigliere al Comune di Vibo Valentia nel 2001, ma anche dal 2005 al 2010. Eletto a furor di popolo alle regionali del 2021, è stato per tre anni componente della commissione regionale anti-‘ndrangheta e ora è diventato capogruppo di Forza Italia, “ereditando” anche alcuni portaborse dal cognato Arruzzolo. Un “normale” caso di familismo sembrerebbe.
La parentela acquisita con i Pesce
La moglie di Comito si chiama Anna Maria, mentre quella di Arruzzolo si chiama Maria Rosa. Sono figlie dell’imprenditore rosarnese Pietro Rocco Smedile e di Costanza Pesce.
Nella domanda di autorizzazione a procedere a giudizio nei confronti di Sandro Principe del 21 giugno 1993, inoltrata alla Camera dei Deputati dagli allora sostituti procuratori reggini Francesco Neri e Laura Tragni si legge che: “Pietro Smedile è marito di Pesce Costanza, cugina paterna del boss Giuseppe Pesce (cl. 23). Come risulta dalla telefonata intercettata il 22 ottobre 1991 alle ore 8,11 era stato più volte cercato dal La Ruffa (cognato del boss Marcello Pesce, ndr) e fra l’altro doveva raccomandare all’onorevole Principe (…) una candidata in un concorso a cattedra (…)”; Smedile si definiva “il figlio adottativo di Cecchino Principe”.
Sempre in quella richiesta inoltrata alla Camera vengono anche riportate due dichiarazioni del pentito Salvatore Marasco, già abile killer del clan Pesce, poi sparito per “lupara bianca”. Dichiarazioni, datate 1989, riferite al fratello di Pietro Smedile, Giuseppe. Marasco dichiarava al PM di Palmi in data 12 febbraio 1989 che: “Smedile Giuseppe, quello delle ruspe, imprenditore edile, prende sempre appalti dal Comune di Rosarno e divide i guadagni con i Pesce, in quanto sono costoro che glieli fanno avere”, mentre il 25 febbraio dello stesso anno Marasco dichiarò:“Mi risulta che la cosca Pesce procura lavori pubblici appaltati dal Comune di Rosarno alla ditta Smedile Giuseppe e agli altri fratelli”. Si badi, gli Smedile non risultano indagati. Pietro Rocco Smedile lo è stato nell’ambito del procedimento della Procura di Palmi n. 916-917/90 e nel libro scritto dall’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia Francesco Forgione e dal giornalista Paolo Mondani dal titolo “Oltre la cupola, massoneria, mafia e politica”, edito nel 1994 dalla Rizzoli, viene definito (a pag. 135): “imprenditore in affari con le cosche”.
Mentre l’interdittiva antimafia del 2010 nei confronti della ditta Terme Service s.r.l. che aveva come co-amministratore (insieme ad Antonio Ranieli, già amministratore del citato villaggio Sayonara di Nicotera) e come socio Giuseppe Smedile, venne annullata con sentenza del Tar Calabria n. 617 del 3 maggio 2011, nonostante la nota della Prefettura di Vibo Valentia del 2 febbraio dell’anno precedente nella quale si dava atto che: “Giuseppe Smedile risulta imparentato, anche se indirettamente, con esponenti della cosca Pesce di Rosarno”, in quanto, si legge in altra nota del 24 ottobre 2009 della Divisione Polizia Anticrimine della Questura di Reggio Calabria, “il fratello, Pietro Rocco Smedile, è coniugato con Pesce Costanza, cugina del defunto Pesce Giuseppe, ex boss dell’omonimo clan operante in Rosarno”.
Per i profani del tema: la famiglia Pesce di Rosarno è da sempre una delle più potenti cosche dell’intera ‘ndrangheta calabrese, con radici storiche che risalgono alla fine degli anni ‘60. Come si legge nell’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria, indagine “Cento Anni di Storia”, dell’ottobre 2008: “E’ provato che esiste la cosca Pesce, il cui capo è Giuseppe Pesce (cl.1923) e che costituisce un sodalizio criminale saldissimo, basato su rapporti di parentela”.
L’amore… per il turismo…
Anna Maria Smedile, moglie del consigliere regionale Michele Comito, è molto legata alla sua famiglia. Lo si evince dal fatto che è socia al 10% (al pari della moglie di Arruzzolo, Maria Rosa) e vicepresidente del C.d.a. del residence Villaggio Smedile s.r.l., struttura turistica di Santa Maria di Ricadi, nel Vibonese, ma con sede legale a Rosarno, in via Diaz numero 9, dove aveva sede anche l’impresa del padre Pietro Rocco e dove risiedono molti componenti della famiglia Smedile (incluso il già citato imprenditore, Giuseppe).
Nel villaggio, assiduo frequentatore, riportano varie fonti, è proprio Pietro Rocco Smedile, il padre delle mogli dei due politici azzurri, unitamente alla moglie Costanza Pesce.
Certo, il fatturato 2023 è di euro 345.307,00 e pare essere un po’ pochino. Di più ha fatto la G.M.C. s.r.l. di Michele Comito e di suo fratello Gianfranco, società che detiene e gestisce l’Hotel Ipomea Club a Santa Maria di Ricadi (in località Fortino). Per loro i ricavi al 31 dicembre 2023 sono stati di 1.052.126,00 euro.
In passato anche i destini societari dei coniugi Smedile-Comito si sono intrecciati. Nel 2000 sono stati entrambi soci (rispettivamente al 3 e 1,5%) di Villa dei Gerani s.r.l., mentre dal 1997 al 2002 la Salus s.a.s. di Anna Maria Smedile ha visto tra i suoi soci non solo Michele Comito, ma anche Tonino Daffinà, attuale vice di Comito nel coordinamento forzista vibonese. Certo, i due si erano già “incontrati” politicamente durante l’amministrazione guidata dal sindaco Franco Sammarco tra il 2005 e il 2010, con Tonino Daffinà vicesindaco di centrosinistra (in quota Margherita) e Michele Comito consigliere comunale di opposizione (Forza Italia), ben prima della convergenza sul sostegno politico alla candidatura fallimentare di Roberto Cosentino alle ultime comunali di Vibo Valentia.
…e le dichiarazioni del pentito Mantella
Entrambi, Comito e Daffinà, però, si “re-incontrano” anche in un recente verbale del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, già killer del clan Lo Bianco di Vibo e poi scissionista.
Mantella è stato escusso all’udienza del 27 giugno 2024 nell’ambito del processo “Maestrale- Carthago”. In quell’occasione Il P.m. Antonio De Bernardo della Dda di Catanzaro gli chiede se oltre a quello che aveva già riferito, vi fossero altri soggetti all’interno dell’Asp di Vibo, o comunque all’interno del settore sanitario, che avevano rapporti con l’organizzazione mafiosa cui lui apparteneva. Mantella risponde: “Sì, per quanto mi ha sempre riferito sia Salvatore Tulosai, Paolino Lo Bianco, nel settore della sanità il Lo Bianco si avvaleva di altri professionisti, tipo Michele Soriano, Michele Comito, Zappia, il dottor Zappia, poi c’era… ai tempi c’era pure Fabio Lavorato, ma siamo negli anni remoti, comunque, stando sempre a quanto mi ha sempre riferito Paolino Lo Bianco e Salvatore Tulosai, il Licio Celli vibonese è stato sempre Antonino Daffinà, il regista di tutto il potere occulto a Vibo Valentia e una sorta di P2, ed è il Tonino Daffinà, che governa tutto questo potere di colletti bianchi, ai tempi li governava insieme a Pantaleone Mancuso detto Vetrinetta (…)”.
Il PM De Bernardo, inoltre, chiede “Pantaleone Mancuso, Vetrinetta, in particolar modo nell’ambito sanitario con chi aveva rapporti?” e Mantella risponde: “Mi ricordo che aveva rapporti con i dottori Miceli, con Miceli e con Comito, il cardiologo dell’ospedale di Vibo Valentia, con lo stesso Michele Soriano di Piscopio (…)”. Lo stesso Mantella ha poi aggiunto: “Io onestamente con Comito non ho tratto benefici in termini di appoggiarmi, mentre invece Carmelo Lo Bianco sì. Quando andavano ad arrestarlo a Carmelo Lo Bianco, il mio capo, si buttava all’UTC ed era favorito. Carmelo Lo Bianco sì. Io da Comito no”. Ed ancora: “Nell’UTC, quando c’era necessità di trarre beneficio, il Comito si metteva a disposizione, insomma, ecco, e questo me l’ha riferito sempre Paolino Lo Bianco”.
Mantella anche in “Rinascita-Scott” nel verbale illustrativo della collaborazione risalente al 2016 dichiara: “Tutti i medici dell’ospedale sono amici di Paolino Lo Bianco che riesce a fare quello che vuole, facendo ottenere trattamenti di favore ai criminali e ai suoi amici. Lui si sentiva quotidianamente con i medici, con i quali si davano del tu. Anche il dott. Michele Comito, primario dell’Utc è molto amico di Paolino Lo Bianco. Anche lui favorisce tutti, in particolare favoriva sempre Carmelo Lo Bianco, detto Piccinni, che quando doveva essere arrestato – cosa che sapeva comunque in anticipo – simulava problemi al cuore e il dott. Comito lo ricoverava. Spesso il dott. Comito rilasciava impegnative o relazioni di favore, oltre che per Lo Bianco, anche per alcuni appartenenti ai Mancuso, come Antonio Mancuso e Pantaleone Mancuso detto Vetrinetta. So per certo che questo lo faceva un po’ con tutti”. Chiamato poi a confermare le accuse nel corso del processo, nell’udienza di Rinascita Scott del 27 maggio 2021, dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia Mantella ha aggiunto: “A disposizione e funzionale al clan Lo Bianco, sia al ramo di Carmelo Piccinni, sia a quello di Carmelo Sicarro, c’era Antonino La Gamba, patron di Villa dei Gerani, mentre in ospedale a Vibo quasi tutti i dottori erano funzionali al clan Lo Bianco ed in particolare erano a disposizione il cardiologo Comito, l’ortopedico Michele Soriano e il dottore Zappia”.
Anche qui, per i profani: il boss Carmelo Lo Bianco è il fondatore dell’omonimo clan della ‘ndrangheta di Vibo Valentia. È il padre di Paolino Lo Bianco, erede designato della cosca e condannato in primo grado nel processo Rinascita Scott a 30 anni di reclusione, mentre nello stesso processo (troncone con rito abbreviato) Salvatore Tulosai è stato condannato in appello a 12 anni per associazione mafiosa. Il boss Pantaleone Mancuso (Vetrinetta) è invece morto in carcere il 4 ottobre 2015 ed era il fratello più grande del boss Luigi Mancuso.
I due cognati eccellenti della politica azzurra non risultano indagato. C’è da dire, però, che Michele Comito da componente della Commissione regionale anti ‘ndrangheta non ha molto parlato di ‘ndrangheta, ma un suo ex esponente di spicco come Andrea Mantella ha a più riprese parlato di lui. In più, sempre Comito, da presidente della Commissione regionale “Sanità” ha incontrato istituzionalmente nel 2022 un rappresentante sindacale cosentino parente di Matteo Messina Denaro. Quantomeno, quindi, sul piano dell’opportunità qualche remora sarebbe dovuta sorgere. Ma se pensiamo che il cognato-Arruzzolo è da tempo in “amorosi sensi” (politici) con Francesco Afflitto, che mai ha preso le distanze dalle sue molte conoscenze della galassia del clan Farao-Marincola, non c’è da meravigliarsi. Chissà se qualcuno in Forza Italia la pensa diversamente…