Due giorni fa LaCNEWS24 ha pubblicato un articolo titolato Povero Por, la Regione Calabria non riesce a spendere un miliardo di fondi residui: pochi bandi per pochi spiccioli. Il giorno dopo sempre su la LaCNEWS24 il solito teatrino di PD e Cinque Stelle, Pnrr e Por, l’opposizione insorge: «Occhiuto riferisca in Consiglio e dica come stanno davvero le cose sui fondi non spesi» ecc ecc. Noi, su ICalabresi l’8 settembre del 2021 avevamo pubblicato un articolo “preveggente”, forse grazie alla consulenza del mago Otelma, che vi riproponiamo integralmente con lo stesso titolo. Per dimostrare solo che chi vuole vedere e capire lo può fare. In alternativa si scrive di personaggi del secolo scorso, di ‘ndrangheta di cui sappiamo tutto, con lo sguardo rivolto al passato che interessa gli storici e non frega niente ai contemporanei politici, politicanti, clienti dei medesimi, ecc…
I Nuovi Calabresi, che non teme un’improbabile chiusura, ripropone agli immemori ciò che avevamo scritto con un anticipo di 18 mesi.
Secondo tradizione, l’Italia ha bisogno della spinta dell’Europa per mettere mano alle riforme. La politica mostra da anni di non avere la capacità di governare e domare la spinta che nasce da interessi diversi, divenendo cosi incapace di assicurare l’efficienza delle strutture istituzionali e del sistema industriale e la qualità dei servizi, facendosi imbrigliare dagli interessi lobbistici di oligarchie senza interesse se non per il proprio tornaconto.
Del resto, accade lo stesso sotto l’urgenza di minacciose crisi finanziarie e in un contesto politico fortemente delegittimato dalla magistratura milanese, al tempo di Mani pulite. Il Governo Prodi fece alcune riforme in nome della “ privatizzazione”, l’imprenditore pubblico si ritrasse e vendette al “peggiore” offerente – vedi caso Telecom Italia con il “nocciolino di azioni” (0,0 e spicci) con cui l’ avvocato Agnelli si prese la società – finendo cosi per regalare asset fondamentali al privato che è più affidabile e stimabile, a prescindere.
Ora siamo in una stagione in cui non opera la moral suasion dell’Unione europea. Al contrario, si esercita, forse per la prima volta in questa forma, la governance di un ampio e ambizioso progetto riformatore a tutto campo, impegnando risorse finanziarie mai così cospicue. Le oligarchie e gli interessi malsani e occulti non sono scomparsi. Ma è scontato che ora non potranno trattare con quel tipo di governanti che hanno trasformato un evento drammatico come il crollo del Ponte Morandi in un beneficio ulteriore per la società concessionaria dei Benetton, minacciata a vanvera e per demagogia di vedersi ritirare la concessione, peraltro garantita da un contratto granitico, ad esclusiva tutela del contraente privato.
Se quindi, come siamo obbligati a credere, dobbiamo cambiare in profondo questo Paese, occorre anche dire che non è affatto detto che l’operazione riesca ovunque in Italia. Ci sono regioni che hanno accumulato una tale montagna di ritardi, problemi, fallimenti, inganni che rischiano di restare fuori almeno parzialmente dalla occasione riformatrice, pressoché unica, del PNRR.
Non ripeto le considerazioni e i dati macroeconomici che Pietro Spirito, economista e top manager prestigioso, riporta nel suo articolo che compare su questa pagina del giornale.
Provo a trarne alcune cause e i relativi effetti.
La Calabria ha – salvo poche eccezioni – una mediocre classe politica. Il servaggio diffuso purtroppo tra i cittadini e la disistima che spacca e attraversa ogni forza politica è un dato di fatto. Le elezioni, temo, non premieranno i migliori ma i più scaltri e protetti da relazioni oscure. Il che significa che il nuovo Governo regionale probabilmente somiglierà come una goccia d’acqua a quello che l’ ha preceduto.
Le riforme – che interessano l’area istituzionale, amministrativa, tecnica e produttiva e i servizi primari, Sanità e Magistratura – non potranno contare in Calabria (ma per il vero non solo in Calabria) su risorse professionali pregiate e all’altezza delle difficoltà da affrontare.
Un burocrazia sanitaria che a Reggio e Cosenza non ha neppure superato la pratica della contabilità “orale” – come se una fattura fosse una favola di Esopo – è inutile e spesso dannosa.